Ghostbusters è un titolo atipico ed impermeabile ad ogni tentativo di catalogazione. La sua originalità si deve al genio creativo di David Crane e alla sua capacità di stravolgere i consolidati metodi di lavoro al fine di riuscire a completare il gioco in appena sei settimane. Normalmente, infatti, Crane avrebbe speso mesi per mettere in pratica le sue idee ma questa volta era necessario (ah, il marketing!) uscire a ridosso del film e cavalcare così l'onda della dilagante "ghostbustersmania" innescata dalla pellicola di Ivan Reitman.
Con poco tempo a disposizione, Crane si rende ben presto conto che l'unico modo per rispettare i ristretti termini di consegna stabiliti con Columbia Pictures consiste nel coinvolgere tutto il team Activision (Hilary Mills, Tim Shotter, Adam Bellin, Garry Kitchen, Russell Lieblich) nella realizzazione del progetto e, per risolvere i problemi di coordinamento tra più persone, concepisce una struttura di gioco a compartimenti stagni tenuta insieme da un filo conduttore ispirato alla trama del film.
La composizione "modulare" di Ghostbusters appare evidente anche ad una superficiale analisi del game design, diviso in fasi snodate tra loro: l'acquisto dell'automobile e dell'attrezzatura, la scelta del percorso attraverso l'uso della mappa di New York, la corsa in macchina per le strade ed annessa caccia ai fantasmi a colpi di aspirapolvere, la cattura degli ectoplasmi all'ingresso delle case infestate e naturalmente il gran finale con il peggior villain della storia del cinema e dei videogiochi... Marshmallow Man, il gigantesco Uomo Caramella (a proposito, ricordatevi che quando qualcuno vi chiede se siete un dio, dovete rispondere di SI).
Una catena di micro-eventi, dunque, il cui risultato finale è superiore alla somma delle singole parti.
Ghostbusters, in quanto tie-in si trova costretto ad assolvere un duplice compito. Non bastava difatti creare un gioco divertente; il risultato finale doveva allo stesso tempo riuscire a ricreare lo spirito originale del film. Entrambi i risultati sono ottenuti con successo grazie al senso di coinvolgimento e giocabilità che Ghostbusters offre, ad una musica trascinante e ad una grafica semplice ma efficace. Uno degli elementi fondamentali nel ricreare il feeling della pellicola è indubbiamente l'utilizzo delle frasi sintetizzate prodotte dalla ESS (Electronic Speech Systems), compagnia californiana specializzata nel campionamento vocale, la stessa chiamata a dar voce ad Elvin Atombender, lo scienziato pazzo di Impossible Mission.
L'incipit di Ghostbusters è da antologia. La voce cavernosa e meccanica del Commodore 64 risulta incredibilmente adatta nel ricreare l'urlo sardonico e beffardo di un ectoplasma. Se è vero che tale effetto non si ritrova nel film, occorre notare che la brillantezza del design traspare anche dalla capacità di introdurre elementi che, sebbene assenti nel media originario, si incastonano alla perfezione nell'atmosfera generale.
L'accompagnamento musicale è all'altezza della situazione.
Adattamento del brano composto per il film da Ray Parker Jr., è curato da Russell Lieblich, purtroppo scomparso nel 2005 a soli 53 anni.
Lieblich, che a lungo ha militato in Activision, è tra l'altro noto per il suo contributo a videogames quali Utopia (il bisnonno dei giochi di strategia uscito per Intellivision, denominato sintomaticamente Civilization 0.5 dagli appassionati) e Master of the Lamps, uno dei primi titoli in cui si sperimentava una musica influenzata dall'andamento del gameplay.
Un'analisi di Ghostbusters fatta a distanza di oltre venti anni dalla sua uscita rivela, oltre alla già citata originalità – ossia il non rifarsi a nulla di preesistente – anche la sua unicità: di fatto Ghostbuster proponeva uno schema che nessuno ha più ripreso perchè concepito per funzionare bene ma per funzionare una sola volta.
I contraccolpi negativi di una realizzazione effettuata a tempo di record, semmai, si riflettono sulla longevità; Ghostbusters risulta piuttosto facile da portare a termine, e complice una certa ripetitività nelle situazioni di gioco, risulta forse scarsamente rigiocabile sulla lunga distanza. Quest'ultimo fattore, tuttavia, è una prerogativa pressochè comune al videogioco di ogni generazione e sarebbe eccessivo sottolinearlo in maniera marcata annoverandolo tra i difetti.
L'unico punto problematico si rivela essere, in definitiva, il confronto con il gigante gommoso che richiede tempismo e perfezione al pixel. In pochi secondi si rischia cioè di bruciare una lunga partita e dover ricominciare da capo, caricati da un forte senso di frustrazione.
Non si può non citare inoltre la difficoltà di molti giocatori a proseguire nell'impresa allorchè si utilizzava una copia pirata. A dispetto della sua immediatezza e dello spirito puramente arcade, Ghostbusters aveva bisogno anche di un manuale per apprendere la funzione della Ghost Bait e la sua modalità di attivazione (tramite il tasto "B"). Il mancato utilizzo di questo indispensabile strumento inevitabilmente frustrava i tentativi dell'ignaro giocatore che non poteva impedire la materializzazione del Marshmallow Man e conseguente distruzione di un edificio.
Laddove non arrivava il manuale, tuttavia, le fotocopie ed il passaparola facevano molto spesso il loro sporco lavoro.
Altro tratto unico presente in questo titolo era la possibilità di "memorizzare" lo stato dell'account. Un metodo di decisamente brillante che consentiva di riprendere il gioco mantenendo il credito accumulato senza ricorrere al salvataggio di un solo byte su memoria di massa.
Rigiocare Ghostbusters oggi costituisce il più classico dei viaggi nella memoria ma, al di là di effimeri coinvolgimenti nostalgici, è ancora possibile apprezzarne appieno l'inventiva e la cura nei dettagli.
(Versione riveduta e corretta della recensione pubblicata in origine su Gamers 2)