Sorprendentemente, la trama si rivela uno dei tanti elementi che rendono The Last Ninja un prodotto completo ed unico nel suo genere. Essa è infatti abbastanza intrigante e precisa, persino a livello storico.
Ammirabile il modo in cui vengono citati gli "shogunati" (o bakufu) dei clan Fujiwara e Ashikaga a dimostrazione di ricercatezza e di voglia di creare un background credibile, elementi che raramente si sono potuti riscontrare nei prodotti degli anni ’80. Ambientata nel Giappone pre-feudale, la storia ci mostra un perfido shogun, Ashikaga Kunitoki, il cui desiderio è quello di sterminare il più potente clan di ninja dell’arcipelago, senza lasciarne traccia. Ne teme il potere e compie quest’atto barbaro per affermare la sua autorità assoluta, eliminando ogni potenziale pericolo per essa.
Ma al feroce massacro sopravvive un solo, giovane ninja, Armakuni, che era stato mandato a vegliare sul tempio sacro del clan. Egli, al ritorno, troverà i suoi compagni massacrati ed in un impeto di rabbia vendicativa giurerà che il suo scopo nella vita, da quel momento in poi, sarà quello di distruggere Kunitoki, se necessario anche nei successivi cicli di reincarnazione.
Così inizia l’avventura che porterà Armakuni ad espugnare l’isola fortezza di Lin Fen, località della residenza del bakufu, attraverso una sfida sempre crescente. Impadronitosi dei segreti del ninjitsu, infatti, Kunitoki farà addestrare i suoi uomini alle antiche arti ninja cosicchè Armakuni si ritroverà ad incontrare avversari progressivamente più agguerriti con l'avvicinarsi alle mura del Palazzo. Per l'ultimo ninja la sfida è solo cominciata... John Twiddy (programmazione) e Mark Cale (game-design) riuscirono a realizzare un gioco che non aveva quasi nulla a che vedere con i suoi contemporanei.
Last Ninja presentava una grafica sofisticata, che adottava il difficile sistema di visualizzazione isometrica come segno distintivo, nonchè un'incredibile definizione dei particolari sullo schermo, che per l'epoca era davvero notevole. Il gioco si dipanava attraverso l'esplorazione di schermate statiche - un sistema utilizzato non solo per motivi tecnici ma anche per creare tensione nel giocatore.
Questo espediente inoltre creava l'attesa e la voglia di scoprire cosa celava la schermata successiva, donando al giocatore un "sense of wonder" perfettamente funzionale alla struttura narrativa. La costruzione della struttura grafica della schermata, pixel dopo pixel, faceva da collante tra il passaggio di un quadro all'altro, costituendo un ulteriore segno distintivo del gioco (utilizzato anche nei capitoli successivi e in Tusker, sempre pubblicato da System 3), così come lo erano le dissolvenze a scorrimento di Guerre Stellari per George Lucas.
Il fattore esplorazione era dunque molto importante, analogamente a quelli riguardanti il combattimento e la risoluzione degli enigmi. Se i primi si riducevano ad un mero ostacolo che miravano a spezzare l'azione del gioco, era pur vero che si articolavano attraverso un sistema di mosse e parate, alle quali si aggiungevano le armi tipiche dell'ambiente orientale, e nella fattispecie dei ninja (la katana, il bastone, gli shuriken, le bombe fumogene, i celeberrimi nunchaku).
I combattimenti diventavano così avvincenti, e la vittoria sofferta ad ogni scontro - un'esperienza appagante, seppur pesantemente inficiata da una serie di bug dell'intelligenza artificiale degli avversari, di cui parlerò in seguito.
La risoluzione degli enigmi era fondamentale per avanzare nel gioco e si rifaceva ad una delle regole non scritte dell'epoca, secondo la quale se non si raccoglieva un certo oggetto trovato magari nei primi livelli, veniva preclusa la possibilità di risolvere un'enigma successivo.
Un esempio lampante di questi spietati vicoli ciechi dei puzzle, è la chiave che si trova nel primo livello, necessaria a sbloccare poi la porta del dungeon che dà accesso all'ultima fase di gioco. Oltre a questo, i puzzle erano abbastanza criptici, in quanto molto era lasciato alla libera interpretazione del giocatore. Non erano tuttavia impossibili e spesso si trattava solamente di provare e riprovare per capirne la logica.
In assoluta difesa del sistema di puzzle è comunque doveroso citare il "brillante" metodo di segnalazione della presenza di oggetti nella schermata che consisteva nel produrre un luccichìo non appena la schermata finiva di generarsi. Recentemente, dopo un paio di partite, mi sono chiesto quanto sarebbe comodo se le mie chiavi lampeggiassero ogni qual volta finiscono per perdersi in casa.
Per facilitare ulteriormente il ritrovamento degli oggetti, come puro fattore orientativo, vi erano posizionate lungo la via, delle statue del Buddha e delle fontane, che mostravano al giocatore quali oggetti si trovavano nelle vicinanze, tramite la meditazione di Armakuni di fronte ad essi. Volendo essere critici, vi sono dei punti in cui si sarebbe potuto fare di più, riguardo non tanto i puzzle quanto gli ostacoli fisici, anche se la questione riguarda più che altro la giocabilità.
Spesso Armakuni si trova di fronte a ruscelli o fiumi da superare, saltando di roccia in roccia: ebbene, il sistema di controllo, finora abbastanza intuitivo, giocava dei brutti scherzi, e ciò, unito alla occasionale difficile percezione della profondità tipica del mondo isometrico, faceva rimediare una sequela di morti orribili.
Continuando sulla linea dei possibili difetti di questa pietra miliare, devo citare obbligatoriamente i numerosi bug presenti nella programmazione. Spesso nel menù degli oggetti apparivano caratteri spurie (uno spiacevole effetto visivo che si ripresenterà anche nel secondo capitolo), ma non è tutto. Come si può evincere giocando un paio di partite, o più semplicemente guardando uno dei numerosi "long-play" su Youtube, spesso l’intelligenza artificiale dei nemici lasciava molto a desiderare.
Laddove essi non sparivano direttamente una volta costretti al limite della schermata, come inghiottiti magicamente dal nulla, si facevano aggirare molto facilmente, semplicemente spingendoli con rapide mosse e cambiamenti di direzione. Ne consegue che era possibile attraversare l'intero percorso di gioco correndo all'impazzata per evitare lo scontro con l'avversario di turno. Non ha a che fare con i bug, ma alcuni nemici, una volta aggirati, si suicidavano, nel più classico stile samurai, eseguendo un impressionante seppuku, trovata che, in un modo forse ingenuo e approssimativo, donava un qualcosa di umano a quegli sprite avversari che altrimenti sarebbero stati senz'anima.
Il suicidio per la perdita dell'onore conseguente al fallimento, muoveva a pietà i giocatori che per la prima volta assistevano ad una simile scena in un videogioco e contribuiva non poco a donare all'atmosfera un tocco di realismo. Nonostante i bug, esaminando gli elementi accumulati sinora, risulta evidente come la struttura generale sia piuttosto elaborata, tanto che non pesa assolutamente la linearità del sistema di progresso di gioco, peraltro perfettamente consona standard dell'epoca.
I livelli sono sei:
The Wastelands, caratterizzato da una geografia degli enigmi e degli ostacoli adatta a fare ambientare il giocatore ai sistemi di controllo, e al gameplay in generale;
The Wilderness, la naturale estensione del precedente, con nuovi ostacoli e nuove azioni possibili;
The Palace Gardens, che fa da spartiacque, con un’atmosfera più gentile e sommessa, meno movimentato;
The Dungeons, una piacevole variazione in tema horror, claustrofobico e opprimente, anche se la tensione è stemperata dalla possibilità di affrontare i nemici ultraterreni a suon di calci e colpi di katana;
The Palace, anticamera dello scontro finale, con un forte impatto visivo, orientaleggiante e artistico;
The Inner Sanctum, il luogo dove Armakuni affronterà Kunitoki, in un duro scontro corpo a corpo.
Nel complesso, TLN si rivela una sorpresa incredibile per il giocatore del 1987: grafica a standard altissimi, giocabilità elevata, una grande longevità, coadiuvata da una giusta calibrazione della difficoltà (tuttavia tendente verso il livello "hard" più che su quello "normal").
Ma c'era un'ultima carta fondamentale che TLN aveva rispetto ai suoi avversari: si trattava della musica. Indimenticabile colonna sonora dell'avventura di Armakuni, è l'opera magna di Ben Daglish: una serie di tracce di circa due minuti e mezzo l'una, una più articolata ed avvincente dell'altra, dotate di ritmo, melodie evocative e ritornelli indimenticabili.
Daglish dà veramente prova di sé in certe escursioni ritmiche come il tema del secondo livello, così ricco e stratificato da strabiliare: si stenta a credere che quella melodia, che con un crescendo di basi e strumenti diversi giunge clamorosamente al climax dall'iniziale e quieto motivo, venga da un semplice SID. La colonna sonora di TLN entrerà in pieno diritto nella storia, marchiando a fuoco le sue note nella memoria di ogni giocatore appassionato di C64.
In definitiva, TLN offre un tipo di intrattenimento nuovo e innovativo, che genererà una serie di cloni infinita. Verrà convertito e trasposto per altre piattaforme, tra cui Amiga, anche se il suo momento di massima gloria, la sua migliore forma fisica, fu raggiunta nella sua prima edizione, quella per C64.
Il finale del gioco, volutamente aperto, lascerà aperta la strada per uno strabiliante seguito, anch’esso astro brillante in stato di grazia nel firmamento videoludico.