Categoria: Generale
Abbiamo parlato più volte di Genias nel corso di varie interviste, si sentiva però la necessità di una visione d'insieme che facesse comprendere appieno l'atmosfera che si respirava all'interno della Software House emiliana.
Colmiamo questa lacuna grazie al contributo di uno dei suoi indubbi protagonisti, Stefan Roda, che attraverso il suo ricordo ricostruisce un'era... l'era dei Geni.
L’ERA DEI GENI
di Stefan Roda
Un titolo senza dubbio magniloquente ma che esprime, in poche parole, ciò che è stato per me e altri ragazzi, di oltre 20 anni fa, un periodo storico particolare e che avrebbe, in un certo qual modo, influenzato parte della nostra vita.
La testimonianza e riprova di aver vissuto una fetta significativa della "rivoluzione ludica" italiana è data dalla presenza di questo stesso sito e da altre decine in cui vengono riportate testimonianze del passato, riproposti aneddoti, ricordati giochi, programmatori, musicisti e grafici: veri talenti e precursori di una nuova epoca, pre-internettiana e pre-industria del gioco. Mai avrei immaginato che un giorno sarebbe nato il cosiddetto "retrogaming" grazie a Internet e gli appassionati. Se così non fosse stato, probabilmente, tutto ciò si sarebbe perso nella memoria dei protagonisti.
Osservando ciò che successe dopo l’introduzione del Commodore 64 in Italia, con la conoscenza odierna, sembra "poca cosa": siamo ormai tutti assuefatti dalle nuove tecnologie, dalla loro presenza nella nostra quotidianità e le nuove generazioni difficilmente capiscono sino in fondo cosa avvenne in quel periodo.
Il Commodore 64 fu il motore propulsivo di una vera e propria rivoluzione, la quale non va identificata solo nell’enorme successo di vendita e popolarità riscossi da questo computer, bensì come strumento caratterizzato da un’immenso valore creativo. Un computer stupefacente sotto diversi punti di vista, sia per la sostanza tecnologica che per gli effetti secondari (era una e vera propria droga mentale).
Chi sapeva programmare un Commodore 64 era un "eletto", un ragazzo (spesso ragazzino) che si distingueva dalla media, capace di stare ininterrottamente davanti al computer per giornate e notti intere scordandosi di dormire e mangiare. Si viveva in un’altra dimensione: il tempo davanti al computer scorreva velocemente e il pensiero era costantemente immerso nella propria realtà virtuale: stato mentale da non confondere con una certa attuale passività nei confronti di Internet; all’epoca era uno stato d’animo completamente diverso, una specie di simbiosi uomo-macchina e il programmatore si sentiva un "dio".
Queste sensazioni non traspaiono del tutto dalle varie interviste rilasciate dai Geni (cosi vorrei chiamarli) che ho conosciuto personalmente, se non qualche lieve accenno ad una moderata "passione", "qualche notte trascosa insonne davanti al computer" ed un "rifugio dalla noia". Macchè! Eravamo tutti "drogati", incluso il sottoscritto, di una sostanza pericolossisima: il Commodore 64... e qualcuno, successivamente, anche di Amiga.
Poi oggi, volgendo uno sguardo distaccato al passato, con occhio maturo, di un uomo con un lavoro di responsabilità ma soprattutto con il senno di poi e con un eccesso di analisi critica ci si sminuisce, si sminuiscono gli altri, si discute sulla giocabilità o meno di un titolo, avendo perduto il pathos di quei giorni, le motivazioni intrinseche fonte di quell’eccezionale ed incontrollato entusiasmo, mescolato alla sensazione di appartenza a un’elite. Le motivazioni estrinseche (il vile denaro) all’epoca erano veramente poche, lontanissime anni luce dagli attuali compensi ottenibili lavorando nell’industria videoludica.
Personalmente condivido tutti i punti di vista espressi nelle varie interviste, frutto delle numerose esperienze, nonché la distaccata visione storica di Ivan Del Duca. Ma sui "dettagli" voglio soffermarmi più avanti dato che senza la presente premessa sarebbe più difficile cogliere le sfumature nonché il background e in cui avvenne la nascita delle prime software house italiane, tra le quali Genias.
La motivazione dei Geni era quindi fortissima: la voglia di dimostrare le proprie capacità, di competere con altri Geni, rendere visibile "la propria creazione" rappresentava un motore interno formidabile e pertanto, in un periodo in cui non esisteva internet, la pubblicazione di un gioco o di un programma su un rivista oppure di un gioco distribuito a livello nazionale, se non europeo, rappresentava il raggiungimento di un traguardo non indifferente.
Allo stesso tempo, proprio questa caratteristica di motivazione personale mista ad un’autostima indotta, facevano si che gran parte dei Geni (tranne qualche eccezione) fossero difficilmente "gestibili", in un work team. La giovane età nonché "l’orgoglio" per la propria "creazione" costringevano a rapporti improntati su un delicato equilibrio tra le esigenze della software house e alcune "invenzioni" non proprio riuscite, ma volute dai creatori.
Pertanto mi sono ritrovato a gestire un nugolo di Geni, di età compresa tra i 16 e i 24 anni, per conto della Genias di Riccardo Arioti. Ma facciamo un passo indietro nel tempo, per capire meglio un epoca e, di conseguenza, anche i protagonisti ad essa appartenuti al fine di avere così il giusto "feeling" di ciò che successe in quel periodo.
Il mio è stato un percorso davvero molto lungo, iniziato molti anni prima e per una serie di casualità. La mia carriera di programmatore iniziò con un Sinclair ZX80 bianco, equipaggiato di ben 512 byte di ram, collegato a un vecchio TV in bianco e nero da 15 pollici tramite il cavo dell’antenna. All’epoca avevo 15 anni e il computer mi era stato prestato da un amico che, a sua volta, lo aveva avuto da un suo amico più grande (elettricista di professione). L’audio era affidato a un beeper interno al computer, in soldoni era una membrana di alluminio.
La caratteristica principale del Sinclair, poi riutilizzata nei modelli successivi, ZX81 e Spectrum, consisteva nel linguaggio di programmazione: il BASIC, le cui istruzioni potevano essere richiamate con una combinazione di tasti (e per tasti si intende un foglio di plastica, prestampato, al di sotto del quale erano presenti delle membrane che fungevano da trasduttori). Altra cosa particolare era la condivisione della memoria interna con quella video. In pratica: più si visualizzavano dei caratteri sullo schermo e più diminuiva la memoria disponibile per la programmazione.
Iniziai non tanto a programmare (quella era, per me, la cosa più facile) ma ad ottimizzare i programmi in maniera che fossero più veloci e occupassero meno memoria possibile. Di conseguenza nacque in me l’nteresse per l’Assembly, in particolare volevo capire come ragionasse il computer, e poi m’incuriosiva programmare direttamente in linguaggio macchina. Qualche mese dopo, sempre tramite il solito amico dell’amico, ebbi la possibilità di mettere le mani su un "potentissimo" ZX81, con 1KB di Ram e qualche miglioramento estetico. A me sembrava fosse il più bell’oggetto mai posseduto! Mi venne dato in prestito per una settimana che, ahimè, volò in un soffio: intanto ero entrato in un nuovo mondo e mi ero divertito a scrivere diversi programmi, nessuno dei quali potè essere salvato (una volta spento il computer mancava un accessorio, come un dispositivo di massa, per registrarli!).
Siccome la gratificazione personale scompariva appena tolta l’alimentazione all’apparecchio, chiesi in prestito per un giorno una piccola stampante termica così da poter almeno stampare e conservare qualche listato. Scrissi diversi programmi freneticamente, anche a quattro mani, o meglio a due cervelli, con un mio carissimo amico di nome Paolo. Ci venne in mente di tutto, tra cui anche un gioco semplice ma dalla grafica alquanto accattivante, il tutto cercando sempre il giusto equillibrio tra memoria disponibile e memoria grafica, ottimizzando e cancellando il superfluo: era nata la Slot Machine per ZX 81. Il giorno dopo dovetti restituire il computer. Intanto, convinto che il programma fosse ben scritto e divertente, mandai la fotocopia del listato (una paginetta in formato A4) alla più importante rivista del settore del periodo: "MC Microcomputer".
La redazione fece lo "sbaglio" di pubblicare il mio listato sul nr. 20, nel lontano giugno 1983.
Non so di preciso quale redattore prese questa decisione, la recensione era firmata "Leo Sorge", ma tale azione influenzerà la mia vita per molti anni e, di conseguenza, indirettamente anche quella di altri ragazzi che ho avuto modo di conoscere in un secondo momento. Vorrei pertanto cogliere l'occasione per ringraziare questo fantomatico Leo Sorge, semmai leggesse queste righe, 25 anni dopo la pubblicazione.
Mi ricordo ancora le sensazioni che provai: non camminavo, bensì galleggiavo nell’aria nel breve percorso dall’edicola a casa mia! Non ci credevo, rileggevo il listato, il mio nome, il commento della redazione, mi tremavano le mani, pensavo di sognare e di risvegliarmi di colpo. Una serie infinita di emozioni per un ragazzino di sedici anni, nel vedersi dedicata una pagina sulla rivista più importante del settore. Poco importa se, correttamente, nella recensione era contenuta qualche critica al programma; l’importante era che fosse stato immortalato per sempre. Benvenuto nell’Olimpo, pensavo tra me e me.
In sostanza si trattò di una forte leva psicologica che condizionò, successivamente, anche il mio approccio come talent scout, software manager o product manager, che mi aiutò a comprendere meglio il comune desiderio dei programmatori che incontrai, cioè di voler essere visibili, soddisfatti per essere riusciti a far commercializzare e recensire le loro opere sulle riviste.
Pertanto ciò che prima era curiosità e voglia di sperimentare si trasformò presto in passione. Partì quindi la caccia all’acquisto di un computer tutto mio: conoscevo soltanto il Sinclair, leggevo assiduamente MC Microcomputer e in centro, a Bologna, comprando delle riviste inglesi e americane delle quali capivo la metà di quello che c’era scritto, notai il VIC-20, ma non mi convinse al punto d’acquistarlo… sembrava un giocattolo per bambini: era a colori ma non mi sembrava un gran passo in avanti rispetto allo ZX81, inoltre sapevo che con 3,5 KB di memoria si poteva fare ben poco. Passarono mesi e poi fu amore a prima vista: il Commodore 64. Fui pure fortunato: i miei genitori compresero bene la mia passione e con lungimiranza, in tempi non sospetti, sostennero che i computer avrebbero rivoluzionato il nostro modo di vivere (e pensare che facevano i ristoratori) e spesero più di un milione delle vecchie lire per il C64 e la saponetta (il registratore a cassette). Il computer arrivò direttamente dalla Germania, corredato di manuale in tedesco, uno dei primi esemplari della serie. La cifra era enorme ai quei tempi (1983), non vorrei sbagliarmi ma un motorino (un 50ino) costava la metà del computer, il cui prezzo era molto vicino a una Vespa 125.
Gli anni trascorsero e la mia passione non si spense; intanto il mercato era ancora immaturo e dovevano passare ancora diversi Natali prima che il Commodore 64 diventasse un fenomeno di massa. La mia abilità con l’Assembly migliorava costantemente e imparai tutti i segreti: ricordo che il maggior divertimento consisteva nel disassemblare e crackare, come si diceva all’epoca, i pochi programmi che arrivano su cartuccia da oltre oceano. In merito a questo ritengo che la pirateria sia stata, in questo settore come in molti altri, nel bene e nel male e senza volerla giustificare, il motore trainante per l’introduzione nel mercato del personal computer. Fenomeno che ho visto ripetersi ciclicamente, basta citare le VHS, le console, i ricevitori satellitari nonché i player MP3.
In quegli anni nacquero diversi gruppi specializzati nel crack dei giochi che all’inizio, tra l’altro, non venivano nemmeno distribuiti ufficialmente in Italia e quindi erano copiati e venduti direttamente nei negozi o persino recensiti da riviste (ricordo ci fu anche una polemica al riguardo, visto che alcune testate riportavano screenshots con la dicitura ‘cracked by…’) (come ad esempio Noi 128 & C64 - Ndr). Tra i gruppi più famosi c’era il NICS (Northern Italy Cracking Service) con cui avevo rapporti molto stretti, i 2703 e il noto Pier che secondo la leggenda metropolitana era un parrucchiere di Milano il quale, tra un taglio e l’altro, si dedicava al Commodore 64.
Quest’esperienza mi servì essenzialmente a due scopi: da una parte mi portò alla conoscenza di tutti i segreti della macchina e della programmazione in Assembly, dall’altra mi permise di acquisire il know-how utile, anni dopo, per la creazione di protezioni software veramente efficaci. Ma mi aiutò anche nel ruolo che poi ricoprii in Genias, cioè a comprendere le difficoltà di programmazione e ciò che si poteva o non si poteva realizzare col C64. Stupii comunque molti, qualche anno più tardi, quando scrissi esattamente 9 byte di codice per verificare se un gioco era stato clonato con le varie cartucce Freeze Frame e Action Replay e quindi renderlo inutilizzabile. Questo lo feci per i games della Genias. Difatti tali cartucce, introdotte in mercato ufficialmente per consentire il debug e avere delle utility sempre disponibili, consentivano a chiunque di "freezare" il C64, creando un’immagine della memoria per salvarla e successivamente ricaricarla. Ovvio pensare che ciò si prestava alla duplicazione del materiale.
In realtà le cartucce lasciavano necessariamente alcune tracce indelebili, pochi byte sparsi non coerenti con lo stato del sistema, e qui la mia protezione entrava in azione non appena ne riconosceva la presenza. Era ovviamente una protezione efficace solo nei confronti della massa di non esperti, ovvio che i cracker erano in grado di eluderla, una volta scoperto dove era nascosto il programmino di verifica, alterando il codice ed inserendo dei semplici NOP (No Operation, comando assembly pari al REM del BASIC - Ndr).
L’operazione di sprotezione si trasformava in una "guerra" continua, nel senso che si doveva verificare che il programma non fosse stato modificato con dei check-sum ecc., ma alla fine ovviamente i cracker avevano la vittoria e la protezione software capitolava. Per noi l’importante era di riuscire a guadagnare sufficiente tempo per una distribuzione capillare prima che lo facessero le copie pirata. All’epoca il tempo era sufficiente: non esistendo Internet la distribuzione, per forza di cose, era fisica e quindi più lenta.
Intanto il mio interesse spaziava, nel senso che scrivevo software di qualsiasi tipo tra cui mi ricordo quello rivolto ad una grande azienda di prodotti per capelli, per l'esame tricologico, sino alle presentazioni multimediali (all'epoca con il C64 si trattava di slide show più che altro, concept comunque "rivoluzionario") tra cui una messa in bella mostra per il corpo dei Carabinieri durante la festa delle Forze Armate. Ciò mi fruttò economicamente quanto bastava per acquistare il mitico e alquanto lento drive 1541, un monitor (un lusso per l'epoca), una rumorosissima stampante ad aghi MPS 801 (la sentivano anche i vicini) e pochi altri accessori.
Poichè non mi piaceva essere uno studente squattrinato, mentre studiavo all'I.T.I.S., lavoravo come commesso presso uno dei primi negozi d'informatica. Per la giovane età e per l'entusiamo che dimostravo ero una macchina che vendeva Commodore 64 a iosa, anche a ragazzini giovanissimi (ovviamente accompagnati dai genitori). Molti di questi, anni dopo, li avrei rivisti: si fecero difatti prendere dalla "droga" C64 e alcuni divennero collaboratori di Genias.
Finisco la divagazione sulle mie esperienze per continuare a scrivere della realtà bolognese di quei tempi, che conoscevo approfonditamente. Se non cito altre esperienze, programmatori o altre software house italiane dell'epoca è soltanto perché non ne ho una conoscenza diretta.
Dunque, in quel periodo conobbi diversi ragazzi a cui, per certi versi, diedi il mio contributo e che successivamente avrebbero fondato le prime software house ed impresso un nuovo corso alla storia del gaming italiano.
Il più caro è sicuramente Ivan Venturi, tra l'altro anche il fratello Mirko è anch'esso un mio caro amico. Non mi ricordo quanti anni avesse Ivan, forse 12, ma ricordo bene che era "impazzito" per l'informatica. Faceva fumetti, gli piaceva la grafica ed era stramotivato. Non mi ricordo purtroppo moltissimo a distanza di anni ma cercai di spronarlo e aiutarlo a iniziare a programmare su diversi computer con l'aiuto di suo fratello. Successivamente, per bravura sua e per una positiva influenza del prossimo Genio che citerò, divenne uno dei ragazzi che realizzerà parte della storia del C64 nel nostro paese. L'ho anche incontrato di recente, dopo tutti questi anni, e trovandolo piacevolmente sempre entusiasta come in passato.
L'altro Genio, non programmatore, incontrato in quel periodo tramite una conoscenza comune, fu uno studente del Dams a Bologna, una persona straordinaria, una dialettica incredibile e una visione del futuro in parte incomprensibile per me. Soltanto anni dopo avrei capito appieno quanto mi diceva e, puntualmente, le sue previsioni si avverarono. Parlava già oltre 20 anni fa di Realtà Virtuale (all'epoca non esisteva questo termine ma lo utilizzo per meglio far capire il concetto), di Internet (si iniziava a parlare di BBS) di cose che oggi sembrano scontate come "Second Life", ad esempio, della connettività globale, della interazione in rete ecc. Collaborai con lui per un certo periodo, gli feci conoscere altri Geni tra cui appunto Ivan Venturi e conservo tutt'oggi molti dei suoi articoli come "cimeli". Sto parlando di Francesco Carlà che, qualche anno più tardi, avrebbe fondato la Simulmondo, il mondo simulato appunto, la nuova realtà virtuale.
Intanto il C64 si stava imponendo sul mercato con una accelerazione sempre maggiore. In quel periodo era poi in atto la "guerra di religione" tra Spectrumiani e Commodoriani. Io, ovviamente, ero Commodoriano convinto anche se dal punto di vista dell'hardware il processore dello Spectrum (Z80) sia per la frequenza di clock (3 volte superiore al megahertz del 6510) che per modalità di esecuzione delle istruzioni (minor cicli di clock) era "tecnicamente" superiore.
Ciò che invece decretò il maggior successo del C64 e la qualità dei giochi era l'architettura dei coprocessori di sistema, con i famosi SID e il VIC 2. A fare la differenza c'era la possibilità di sfruttare funzioni non documentate o addirittura alcuni bug dei medesimi al fine di creare giochi e famosi demo che circolano ancora in rete. Per citare alcune caratteristiche salienti del VIC 2 la possibilità di "intercettare il raster" (pennello elettronico) praticamente in tempo reale e quindi creare scroll fluidi, cambiare in determinate righe il colore dei caratteri, moltiplicare il numero degli sprite e addirittura andare in overscan, cioè collocare sprite nei bordi dello schermo, al di fuori del classico schermo rettangolare.
Un precursore delle tecniche "avanzate" fu Jeff Minter, un fanatico nell'uso dei colori e creatore di strani giochi come Attack of the Mutant Camels. A prescindere dal gameplay erano giochi da studiare e dissassemblare. A quei tempi poi non era raro imbattersi in qualche programmatore capace di lavorare addirittura senza compilatore (per esempio il sottoscritto). Con un semplice editor esadecimale si scrivevano le istruzioni direttamente nella ram, per esempio A9 00 (per assegnare il valore 0 all'accumulatore) e con la stessa apparente semplicità, come leggere un libro, si leggevano pagine e pagine di codici hex.
Purtroppo inizialmente nel mercato non esistevano compilatori, editor o altri tool di sviluppo per cui spesso i programmatori erano costretti a crearseli per contro proprio. Però questa tecnica di programmazione veniva in parte adottata anche in presenza di tools e compilatori dedicati, dato che consentiva una programmazione "sporca" ma necessaria quale, per esempio, il codice automodificante che andava necessariamente scritto in certe locazioni di memoria predeterminate. Ciò consentiva di spostare "grandi" blocchi di memoria, con pochi cicli di clock, modificando direttamente il valore dei puntatori mentre veniva eseguito il programma. In poche parole la routine si automodificava, senza l'uso di variabili, ma con la semplice funzione di INC (ndr. Increase, comando Assembly) di locazioni esadecimali continuamente sino alla fine dell'esecuzione. Tecniche avanzate di swapping consentivano poi di visualizzare schermate e riprodurre musiche durante il caricamento dei giochi, nonchè spostamenti rapidi di memoria per i livelli di gioco successivi.
Il gioco che sfrutterà appieno in modo elegante tutte le caratteristiche del C64, con un gameplay eccezionale, lo si vedrà molti anni dopo ad opera di Manfred Trenz: Turrican. Lo cito perché lo ritengo il migliore gioco in assoluto per il C64.
Un cenno lo merita anche il SID. Il successo del C64 si deve anche a questo chip sonoro, il primo ad essere inserito all'interno di un computer. Sapendolo sfruttare era possibile creare particolari suoni e vari compositori hanno creato mitiche colonne sonore per molti games. Non tutti sanno invece che il SID 6581 (la prima versione) aveva diversi bugs e non si comportava come da specifiche. Tra i tanti difetti il "PLOP" quando si dava "volume" motivo per cui si ovviò con un incremento costante e graduale per portare il volume al massimo (come se fosse un dispositivo analogico). Ma questo "PLOP" fu parte della fortuna del C64. Difatti questo rumore indesiderato, opportunamente pilotato, a differenza degli oscillatori interni, consentiva l'emissione di suoni campionati, persino della voce umana. Non solo, quando si sfruttavano appieno le tre voci disponibili ecco il quarto canale "PLOP" a fungere da percussione!. Nell'ultimo ciclo di vita del C64, quando fu introdotto il C128 per intenderci, si sudava un po' freddo nelle software house dato che, non so per quale ragione dopo molti anni, la Commodore decise di correggere i "problemi" che affliggevano il SID. Morale dei fatti, molti brani "vecchio" SID suonavano male sul nuovo SID 8580, il volume era basso, il suono differente, troppo smussato ed era sparita la sintesi vocale. Mi ricordo che si trovarono poi dei work-around software e hardware al problema ma eravamo comunque alla fine del ciclo di vita del C64.
Sarebbero decine gli esempi, me ne ricordo parzialmente soltanto alcuni, di tecniche e "scoperte" non documentate fatte dai programmatori di mezzo mondo. A quel tempo si parlava a ragion veduta di ottimizzazione del codice e sfruttamento totale della macchina.
Anche operazioni apparentemente semplici come lo scroll in parallasse, con lo scopo di dare l'illusione visiva di "profondità di campo", come quello per esempio implementato da Alberto Frabetti in Dragon's Kingdom, e in precedenza in molti altri games, sono frutto di intuizioni al pari del voler eseguire uno scroll raster normale, usare come sfondo una matrice di caratteri simmetrici e modificarli in tempo reale applicando uno shift dei pixel a ogni passaggio del raster in senso contrario al moto (per avere uno sfondo fermo) oppure modificandolo ogni "x" passaggi per creare uno sfondo che si muove lentamente rispetto alla prima "linea". Il tutto mantenendo velocità di gioco e timing perfetto con il raster: non un'impresa facile, il codice doveva essere superottimizzato ma il C64 lo rendeva possibile. A quel tempo non ci si poteva permettere ciò che oggi viene definito "un abbassamento del frame rate". Se mancava la sincronia il gioco non rallentava, semplicemente se tutto "andava bene" gli sprite lampeggiavano, i colori si perdevano o sparivano i caratteri dallo schermo ma se "andava male" il computer si resettava. In pratica: o funzionava oppure no!
Il risparmio dei cicli di clock con conseguente utlizzo della Pagina Zero rendeva interessante la sfida di programmazione. Ho sempre pensato che se avessero equipaggiato il 6510 con frequenze di clock più elevate avremmo visto cose ancor più incredibili sul C64. E ce ne sarebbero tante di cose da raccontare a livello tecnico...
Visto che ho citato Dragon's Kingdom anche perché, per quel che mi ricordo, faceva parte ormai del mio ultimo periodo di collaborazione con Genias, debbo dire che fu, purtroppo, un problema per per questa software house (o probabilmente per tutti le persone coinvolte nel progetto). Non parlo della versione C64, che in realtà era cosa completamente diversa e fu tranquillamente commercializzata, ma dell'originale concept e per Amiga sviluppato da un team di Roma.
Mi pare fossero stati commessi una serie di errori macroscopici dal punto di vista marketing, tra cui il virus della politica degli annunci che iniziava a diffondersi in quel periodo. Infatti bastava una demo da dare in pasto alle riviste, per diffondere la notizia che il gioco sarebbe uscito di lì a breve, ci si muoveva già in ambito internazionale in fiere del settore e si lavorava molto d'immagine. C'era la necessità invece di un project management in grado di monitorare, seguire e sostenere il progetto concretamente vista la differenza sostanziale tra la realizzazione di giochi per C64, in cui c'era un unico interlocutore (il programmatore tuttofare) o al massimo due (per le musiche), mentre altra cosa invece era un progetto complesso come Dragon's Kingdom per Amiga.
Mi ricordo molto bene la demo e il team straordinario che se ne occupava: Valensise, Martire, Tomljanovich, Agostinelli (spero di non essermi dimenticato di qualcuno). Vi erano poi difficoltà oggettive che al giorno d'oggi non esistono più e che consentono ciò che viene definita esternalizzazione. Non esisteva Internet, lo scambio di grossi file via telematica era praticamente impossibile, il costo stesso delle telecomunicazioni, in regime di monopolio, elevatissimo (chi non conosceva le assurde tariffe applicate alle famigerate telefonate extra-urbane!) e quindi molto veniva affidato alle poste e all'autonomia dei gruppi.
Tant'è vero che molte software house dell'epoca, come slogan per indicare una certa qualità dei loro prodotti, indicavano su articoli e pubblicità di avere tutto lo staff "in house", esatto contrario di quanto accade al giorno d'oggi specie con l'open source. Mi spiace molto che il progetto di questi ragazzi non venne mai portato a termine, erano tutti programmatori talentuosi e meritevoli (forse qualcuno anche telepatico, dovrei aggiungere! Difatti, mentre sto scrivendo queste "poche" righe mi arriva, da un sito di social network, un invito di Nicola Tomljanovich che mi ha scovato, non so come, e mi saluta affettuosamente). Per chiudere la vicenda fu utilizzato il materiale marketing disponibile per anticipare una versione C64 del gioco che in realtà era la realizzazione di Alberto. La scatola del prodotto, come voleva la "miglior tradizione dell'epoca", ovviamente riportava gli screenshots della versione Amiga con la dicitura "La versione per Commodore 64 potrebbe avere una grafica diversa, confacente alla caratteristiche della macchina".
A proposito del fondatore di Genias, Riccardo Arioti: lo conobbi in Italvideo e lo ricordo sicuramente come un imprenditore capace e visionario quanto basta per intraprendere iniziative quali la creazione di una software house tutta italiana. Subito dopo quel periodo, ho sofferto di un buco temporale, vista l'obbligatorietà del servizio militare vigente in quegl'anni, tra la metà del 1987 e del 1988.
Al mio rientro da una parte c'era la Genias appena fondata e dall'altra la Simulmondo di Carlà. Ora vi sono stati diversi "attriti" tra i protagonisti di queste due software house bolognesi ma per correttezza non avendo vissuto direttamente tale periodo preferisco astenermi dal commentare. La cosa incredibile, che secondo me ricalca la mentalità tipicamente italiana, è che in a quei tempi nonostante la presenza di poche software house italiane (si potevano contare sulle dita di una mano) si crearono artificiosamente antagonismi, tramite le riviste. Insomma, si potrebbe dire che non ci facemmo mancare neppure il gossip.
Ricordo molto bene gli investimenti fatti da Riccardo in quel periodo tra cui la necessità di espandere la distribuzione all'estero con conseguente partecipazione alle fiere internazionali di Genias perfino a Las Vegas e a Chicago. Merito suo sono difatti alcuni accordi internazionali tra cui quello con la Linel, successivamente Merimpex e con la texana Merit Software interessata alle versioni "IBM" dei nostri games, motivo per cui scriverò di Dino Olivieri a breve. Genias ebbe quindi una forte presenza estera. Dai miei ricordi, ovviamente di parte, ci fu soltanto qualche titolo pubblicato al di fuori del territorio italiano da parte di altre software house italiane mentre Genias lavorava già pensando al mercato internazionale. Tant'è vero che fu così conosciuta da vedersi affidare dalla Core Design (famosa soprattutto per Tomb Raider), la conversione per C64 di un titolo già di enorme successo per Amiga: Chuck Rock.
Dunque dagli accordi con software house estere arrivarono anche diverse collaborazioni sia per il codice che per la grafica nonchè per le musiche. Un esempio, tanto per introdurre il prossimo protagonista, fu la musica di Catalypse ad opera di Michael Tschogoel, collaboratore della Linel e arrangiatore delle melodie presenti nel game Never Ending Story II. Una collaborazione che doveva in qualche maniera dare ancor più risalto a un capolavoro della programmazione su C64 ad opera di Andrea Pompili, che si presentò in Genias con il gioco praticamente finito. Rimasi colpito dalla realizzazione, dal game play, dalle splendida introduzione e dal finale spettacolare. Andrea lavorava con l'ottimo supporto di Andrea Carboni e, alla fine, per la verità le composizioni di Michael furono modificate: il sound venne reso più aggressivo e attinente al gioco. Insomma altro merito per Pompili e Carboni. Lasciai la Genias poco dopo la pubblicazione quindi non ho idea se dal punto di vista commerciale il gioco fu un successo; ma a me piaceva moltissimo e dai vari siti di retrogaming ho letto commenti entusiasti.
In fatto di collaborazioni, al fine della distribuzione estera, ritengo che l'apporto di Dino Olivieri fu veramente importante. Anche lui un Genio, di Torino, uno dei pochi programmatori italiani "tuttofare" su piattaforme compatibili IBM. Sono opera sua alcune conversioni fatte per PC che all'epoca avevano, a livello grafico e sonoro, prestazioni nettamente inferiori al C64 (la grafica era CGA, con 4 colori disponibili su una palette di 16). Conversioni comunque indispensabili per il mercato americano. Di lui, nonostante la giovanissima età, ricordo l'approccio professionale che aveva nonchè la serietà e la tempistica nelle realizzazioni.
Ma veniamo al team bolognese, ragazzi eccezionali molto affiatati, composto da Marco Corazza, Luca Zarri e Andrea Paselli. L'interviste a Marco e Luca sono esaustive quindi mi soffermerò solo su alcuni aspetti per non essere ridondante. Il loro team non si poneva limiti. Dopo le prime conversioni di games Genias, quando proposi loro il porting per C64 del conosciutissimo Chuck Rock mi aspettavo reazioni quali "impossibile", invece mi trovai difronte a ragazzi pieni di entusiasmo. In pochi minuti e con mente lucida, il geniale Luca mi espose diverse informazioni utili da richiedere alla Core al fine di perseguire una fedele conversione. Dietro le quinte invece, meno idilliaco si rivelò il rapporto con la Core le cui pretese, in termini di fedeltà di conversione, erano persino eccessive. Mi ricordo che il loro tester faceva osservazioni del tipo "non va bene, quel draghetto deve spuntare da sinistra un decimo di secondo prima…." oppure "quel colore non è esattamente come sull'Amiga". Ovviamente non facevo pervenire al nostro team di sviluppo le valanghe di osservazioni del "committente", nell'intento di tenere alta la motivazione dei nostri ragazzi cosa che, comunque, Marco faceva già egregiamente. Per me Chuck Rock in versione C64 fu un capolavoro, meglio di così non si sarebbe potuto fare. Tra l'altro vorrei cogliere l'occasione per ringraziare Luca delle parole di elogio espresse nei miei confronti nella sua intervista.
Tra le conversioni fatte ci fu anche quella di "Mystere – Fuga dal Castello di Lockness" [1] titolo che per togliere qualsiasi dubbio non fu scelto per assonanza al Martin dei fumetti ma significava semplicemente "Mistero". Poi, il nome "Lockness", al posto di "Lochness", fu una precisa scelta. Difatti erano diffusi entrambi i nomi per indicarne il luogo ma il primo ("Lock") dava più l'idea di "chiuso". La versione originale per Amiga si deve a Gabriele Gabrielli, Giuseppe e Gianluca Orofino. Gianluca era un bravissimo musicista, a quei tempi non si accontentava del Protracker ma utilizzava l'Oktalyzer che tramite una tecnica software di downmix e mixaggio multicanale consentiva di avere 8 tracce a disposizione al posto delle classiche 4. Le musiche erano strepitose e di atmosfera, più ariose e meno sintetiche del Protracker, perfettamente adatte al genere.
La collaborazione musicale non si soffermò a Mystere ma Gianluca compose la base "melodica" anche di World Cup 90 e Over the Net sempre secondo uno stile sinfonico o, potrei dire oggi, new age. In quell' ambito unii la mia passione per la musica (come se non fosse bastato ciò che stavo già facendo), a quello di musicista/arrangiatore su Protracker. La cosa mi divertì moltissimo e partendo dalla base di Gianluca creai le colonne sonore di World Cup 90 [2] e Over the Net, in uno stile electro-pop più moderno per quei tempi. Tale fu la ragione per cui anche io compaio come musicista in diversi titoli Genias, soprattutto Amiga, assieme a Gianluca. Molti brani furono poi convertiti in formato SID per le versioni C64 anche con l'apporto di Paolo Predonzani, bravo musicista di Genova, mentre altri titoli ancora hanno una musica diversa scritta dagli autori del gioco.
Non mi sono ovviamente scordato di Antonio Miscellaneo e di Ivan Del Duca, quest'ultimo già nominato all'inizio del presente racconto, che insieme hanno realizzato World Cup 90 e Warm Up per C64. Mi ricordo in particolar modo di Antonio, con cui tenevo i contatti, ragazzo esuberante e motivato. Ovviamente entrambi, Antonio e Ivan, appartengono anch'essi alla schiera dei Geni "tuttofare", a cui era stata assegnato l'ambizioso progetto relativo al porting per C64 di World Cup 90, opera dei Dardari Bros per Amiga. Fu un lavoro molto lungo, elaborato... e non un semplice "titolo" creato per l'evento trainante dei mondiali. In questo senso dissento sull'autocritica fatta da Ivan nella sua intervista. Era un bel gioco, non eccezionale, ma ben fatto, con qualche "chicca" come la l'arrivo della barella a raccogliere il giocatore infortunato in campo. In quel periodo facemmo poi "impazzire" le varie riviste di settore, tra cui Zzap!, aggiornando a ogni uscita, la pagine pubbliciataria indicando via via una caratteristica in più del gioco. Ed era un gioco con un forte interesse internazionale. Sia Antonio che Ivan dovrebbero essere orgogliosi della loro creatura che, insieme alla versione Amiga, fece capire al mercato europeo che esistevano software house e programmatori Italiani bravissimi. Tra l'altro il gioco è stato "piratato" più volte, alterandone il titolo, per metterlo in vendita in edicola con altri nomi, non solo in Italia. Penso che molti ci abbiano giocato, anche in altri Paesi, senza sapere che, in realtà, si trattava sempre di World Cup 90 della Genias.
Meno felice fu effettivamente il gameplay di Warm Up C64 che tecnicamente era un prodotto eccezionale ma non sufficientemente coinvolgente. Anche qui, come in altri casi, si dovette arrivare ad uno "stop" dello sviluppo perché, da parte dei Geni, c'era ovviamente la tendenza a perfezionare, rivedere, modificare qua e là. In sostanza secondo loro un gioco non era mai finito. Dall'altra parte c'era il mercato, le date di uscita previste, la pubblicità in scadenza, il periodo di maggiori vendite che si stava avvicinando. Insomma quello che succede ancora al giorno d'oggi con l'industria videoludica su scala planetaria. Purtroppo 16 anni fa non si potevano scaricare le patch da Internet, quasi indispensabili al giorno d'oggi, per correggere o migliorare giochi magari usciti una settimana prima. Ma non per questo Warm Up fu un brutto gioco, criticato da alcuni, lodato da altri per il metodo di controllo adottato. Fu accolta invece molto bene la versione per Amiga, sviluppata anch'essa dai Dardari Bros, con il contributo di altri coder e collaboratori di Genias, versione che ottenne lusinghieri punteggi anche dalle riviste di settore sia italiane che estere.
E se si parla dei Dardari Bros, cioè dei fratelli Davide, Marco e Franceso, residenti all'epoca nei pressi di Rimini, non si può che ricordare nuovamente World Cup '90 e una versione ovviamente "beach" della pallavolo: Over the Net. Davide era il programmatore, gli altri fratelli si occupavano della grafica. Oltre ad avere il primato di essere i primi sviluppatori italiani di giochi per Amiga, ebbero la geniale trovata d'inventare una piccola interfaccia di sdoppiamento dei joystick. Si poteva giocare in 4! Tale accessorio era ordinabile separatamente, tramite un form contenuto nella confezione. Il loro talento era eccezionale cosi come la loro professionalità.
Brevemente cito ancora Raffaele Valensise che si occupò per Genias del concept di alcuni titoli, nonché per i suoi contributi grafici, presenti tra l'altro negli ultimi giochi prodotti, quali Tilt e Top Wrestling. Il coder di quest'ultimo game fu Fabrizio Farenga un vero talento della programmazione su Amiga.
Veniamo alle conclusioni di questo lungo racconto che spero non vi abbia annoiato troppo. Intanto chiedo anticipatamente venia se mai ci fosse qualche imprecisione, qualche nome storpiato e soprattutto se avessi dimenticato qualcuno. Ho dovuto sintetizzare forzatamente altrimenti si sarebbe potuto scrivere un libro, soprattutto perché l'ultimo periodo in Genias è stato veramente denso di progetti e concentrare diversi anni in una decina di pagine non è semplice. Ammetto anche che, a distanza di 16 anni e più, qualcosa si dimentica… volente o no!
Lasciai la Genias con malincuore per diverse ragioni ma la più sostanziale fu la necessità di "cambiare vita" (FCE2). Avevo trascorso troppi anni dedicati solo alle mie passioni. Penso che non si dovrebbe mai fare un lavoro in cui si è coinvolti al 100%, anche se piace moltissimo, perché si rischierebbe di trasformare la propria vita in lavoro oltre che di sacrificarsi troppo. Tra l'altro intuii, con qualche anno di anticipo, la fine di un epoca pionieristica: lo scenario stava cambiando, il successo di Amiga (per quanto fosse un computer molto potente) non sarebbe mai stato come quello riscosso dal Commodore 64; intanto si stavano affacciando le grandi software house con le console, mentre la Apple e gli "IBM compatibili" guadagnavano sempre più popolarità.
Il software in ambito ludico era già velocemente diventato un business ben organizzato e strutturato. Non ci sarebbe stato più spazio per le piccole realtà amatoriali, caratterizzate più dalla passione dei programmatori che dalle rigide impostazioni aziendali, sensibili prevalentemente alle logiche di mercato. C'era un cambio di tendenza in atto ed era chiaramente intuibile che poche software house avrebbe potuto seguire questo trend: la maggior parte di esse era animata dalla passione dei programmatori, come fattore costitutivo, in cui non era minimamente presente il freddo e cinico approccio di una azienda dal management professionale e razionale, non coinvolto emotivamente, capace di affrontare le nuove sfide e cambiare velocemente strategia. Difatti assistetti, qualche anno dopo, alla chiusura di molte software house che fecero la storia italiana ed europea del gaming per Commodore 64.
Era finita un'epoca, quella dei Geni.
Con sincero affetto, stima e simpatia per tutti coloro i quali hanno condiviso con me parte di quest'avventura.
Stefan
- Colonne sonore realizzate da Stefan Roda:
[1] Sigla Mystere
[2] World Cup
- Tutti i giochi per Commodore 64 realizzati da Genias. Link