C64 & Pirateria #00: La Pirateria Industriale

Roberto 31-03-2010.
Categoria: C64 e Pirateria

Premessa

Una delle finalità principali di Ready64 consiste nel catalogare tutte le iniziative editoriali prodotte in Italia per Commodore 64 sotto forma di scansioni e dump [a]. In quest'ottica probabilmente salterà all'occhio l'assenza di collane molto diffuse all'epoca come Special Program, Hit Parade (eccetera) che ancora oggi riscuotono consenso presso nostalgici ed appassionati. Ovvero quel genere di riviste assemblate utilizzando, previa modifica dei titoli e rimozione dei riconoscimenti, videogiochi prodotti all'estero ed infine poste in vendita attraverso il circuito delle edicole.

In realtà nella primissima fase di vita del sito, la situazione era differente tanto che tra le prime cassette pubblicate comparivano alcuni numeri di Settimana Games e New Special Playgames. Successivamente, tuttavia, si decise di rimuovere tale materiale, sostanzialmente per due ragioni. La prima era l'esistenza, già all'epoca (2002), di progetti incentrati su questa particolare branca. Procedere con la pubblicazione avrebbe portato ad una sovrapposizione di materiale, alla creazione di doppioni risultando, in ultima analisi, poco utile.
Ma soprattutto la scelta fu dovuta a ragioni di ordine filosofico.

La premessa alla base di questa convinzione risiedeva naturalmente nell'intima natura di queste produzioni. Si trattava di opere mutilate, alterate in più parti per eliminare ogni riferimento agli autori originali, in altre parole di opere spogliate della propria dignità artistica. Non era più solo pura e semplice pirateria - con le ovvie implicazioni economiche - ma un'atto strettamente imparentato con una sorta di cultura della cancellazione (cancel culture).

Ripensando ai tempi in cui, ignaro di tutto, acquistavo regolarmente questi prodotti adulterati, non posso che provare un indefinito senso di perdita per essere stato messo all'oscuro della loro reale paternità. Per non parlare del dover essere costretto ad affrontare esemplari monchi, tra i quali potrei citare Castle of Dr. Creep, forse il più martoriato in questo senso, continuamente proposto in giochi singoli di un solo livello.

Nonostante questa premessa, però, ritengo che i vari hack da edicola vadano comunque preservati e catalogati, tanto che, come detto, in passato me ne sono occupato anche in prima persona. A prescindere dalla loro qualità è importante mettere ordine in questo campo, se non altro per documentarne l'estensione e fare felici quanti proprio non possono fare a meno di giocare a Mario e i Mostri (Trolls and Tribulation).

L'interesse verso queste collane è infatti ancora altissimo e quasi assoluto presso la platea italiana, tanto che ebbi modo di sperimentarlo io stesso in prima persona. Non nelle vesti di semplice appassionato questa volta, ma in quelle di webmaster. E' evidente che un sito necessita di molti sostenitori per auto-supportarsi, ed escludendo una fetta importante di essi c'era il rischio di rimanere isolati.

Oltretutto, fui colto da un senso di imbarazzo. Ricordo infatti che la scelta di non pubblicare gli hack da edicola coincise con la nascita di molti dubbi ed indecisioni: cos'altro restava da documentare? Col tempo ebbi modo di trovare da solo la risposta: vi era molto di più in Italia che non le banali mutilazioni da edicola: tante riviste, libri, autori italiani e giochi non ancora convertiti per emulatori. Anche qui, però, la grande massa di prodotti da edicola era in agguato per mettere il proverbiale "bastone tra le ruote". La produzione pirata era talmente estesa, e in linea di massima qualitativamente migliore rispetto alla produzione originale italiana, da soffocarla. Questo rese ovviamente più rari i prodotti originali, e quindi più difficili da recuperare. Ad oggi, moltissimi giochi e programmi sono stati salvati, ma siamo ben lontani dal completare l'opera.

Questo articolo costituisce solo una parte della vasta raccolta di materiale messa insieme  negli ultimi anni attraverso la ricerca di articoli sulla pirateria pubblicati sulle testate dell'epoca e  di cui trovate il riepilogo a fondo pagina.

In questa sede proporrò la mia analisi, avendo al contempo presente che se oggi si tende a valutare la produzione da edicola anche in base all'affettività dettata dall'avere vissuto il fenomeno in prima persona, tra cento anni qualcuno si prenderà la briga di analizzare la situazione da un punto di vista storico e lascerà da parte ogni valutazione fatta attraverso la lente deformante della nostalgia.
Come scriveva Manzoni, dunque, Fu vera gloria? Ai posteri l'ardua sentenza.

Introduzione

Lo scambio illegale di software è conosciuto in tutto il mondo come "Pirateria" ma questo termine, nella sua accezione più ampia, si rivela inadeguato per descrivere la situazione presente in Italia negli anni '80.

Nel nostro paese il cosiddetto "furto di software" avveniva infatti con caratteristiche tali da differenziarlo in maniera marcata rispetto all'estero e riassumibili principalmente in due concetti: industrialità e dissimulazione. Questi importanti distinguo non sono così facili da riconoscere, specie per chi è immerso nella realtà italiana, e possono condurre a considerazioni e giudizi non sempre centrati.

A testimonianza di quanto affermato vale la pena ricordare come nelle occasioni in cui l'argomento è dibattuto si creino scambi di idee piuttosto animati. Più volte mi è capitato di prendere parte a discussioni su questo tema e immancabilmente gli animi si sono scaldati e si sono create fazioni tra "pro" e "contro". Viceversa la medesima situazione non si è mai verificata in forum e gruppi di discussione stranieri, dove la Pirateria aveva caratteristiche, per così dire, tradizionali.

Per questa ragione, dunque, propongo due termini: industrialità e dissimulazione e nei paragrafi che seguono cercherò di approfondirli.

La pirateria industriale

La Pirateria era industriale perché il software veniva piratato alla luce del sole, come avveniva per qualsiasi altra normale attività imprenditoriale e soprattutto perché i soggetti che se ne occupavano non erano artigiani della copia che muovevano poche decine di dischi e cassette ma si avvalevano delle stesse strutture dell'industria classica: impianti di riproduzione in grado di fabbricare migliaia di esemplari al giorno, distribuzione capillare attraverso le edicole e perfino inserti pubblicitari in televisione o su riviste specializzate.

Tutti i maggiori pirati dell'epoca erano infatti figure già presenti sul mercato con altri tipi di pubblicazioni editoriali (riviste, giornali, ecc.) o nel campo della distribuzione audiovisiva. In poche parole si trattava, una volta fiutato l'affare, di riconvertire le proprie strutture già avviate e consolidate e di volgerle a questo "nuovo" tipo di produzione.

Eclatanti erano i casi delle famose collana da edicola (Special Programs & C.) che ponevano in vendita compilation di giochi e le cassette à la "Armati" vendute nei negozi che contenevano generalmente singoli giochi piratati e confenzionate in custodie di plastica richiudibili ad incastro. Facile immaginare il processo "creativo" che portava il prodotto finito sugli scaffali. L'imprenditore di turno si avvaleva della manodopera del classico smanettone, spesso ragazzi giovanissimi con il pallino del cracking[b], allora facilissimi da trovare e che in taluni casi avevano competenze niente affatto trascurabili. A loro il compito di procacciarsi l'originale, sproteggerlo, tradurlo e riproteggerlo. Dopodichè il resto lo faceva il processo di duplicazione del master.

La dissimulazione

L'altro aspetto saliente della pirateria italiana è stata l'edulcorazione del software. Ovvero, al fine di dissimulare la reale paternità dell'opera originale, venivano apportate modifiche che consistevano in una traduzione sommaria, nella rimozione di ogni tipo di riferimento agli autori con l'eliminazione dei credits e la modifica del titolo. Questa pratica era appannaggio esclusivo delle collane da edicola, ma non necessariamente: la Playsoft - una marca in stile Armati, non venduta in edicola ma nei negozi - adottava la medesima pratica.

Gli effetti della Pirateria all'italiana

Ora che è stata operata questa differenziazione, vediamo quali sono stati gli effetti che ha comportato. Quando si parla dei danni della Pirateria, la prima cosa che viene in mente è la perdita economica generata agli autori e produttori di software originale. Tuttavia sarebbe superficiale fermarsi a questo aspetto, ignorandone altri non meno importanti. E' vero che il videogioco è un prodotto, un bene e come tale viene venduto, quasi fosse una mela, una forchetta o un'automobile e che quindi la pirateria ha creato un danno economico. Ma forse il videogioco è anche qualcosa di più.

Spesso, cioè, è in discussione la possibilità che i videogiochi possano essere considerati "Arte" oppure no.

Per il momento, senza addentrarci in queste tematiche in maniera approfondita, possiamo sicuramente notare come un videogioco, scomposto nelle sue parti essenziali ovvero "grafica" e "suono" presenti già al suo interno elementi (meta)artistici. Pittura e musica sono infatti espressioni tipiche dell'animo umano, che la storia ha già riconosciuto ufficialmente.

I videogiochi inoltre introducono un'altro importante elemento che funge da collante tra questi due aspetti. Ovviamente si intende fare riferimento al set di regole del gioco, che si voglia chiamare giocabilità o altrimenti.

Che si consideri un videogioco arte, arte povera, semplice manufatto artigianale o mero passatempo, esso costituisce comunque un'opera dell'intelletto umano in grado di creare emozioni, stati d'animo ed associazioni mentali esattamente come avviene quando si ascolta un brano musicale, si osserva un affresco o si ammira un'opera architettonica.

Se è vero che il videogioco può essere fruito senza mediazione alcuna, disponendo solo di  un computer e un joystick, è altrettanto vero che in quanto opera, per poter essere valutata nella sua completezza, è fondamentale conoscere quante più cose possibile sul background in cui è stato creato, compreso il nome degli autori e il nome dell'opera originale.

Che si guardi con occhio benevolo ai giochi modificati oppure no, è innegabile che la loro enorme diffusione abbia creato una sorta di analfabetismo ludico, escludendo dal sapere di massa il nome di molti autori e titoli che hanno fatto la storia del Commodore 64.

Questa edulcorazione impediva, per esempio, di inquadrare un videogame all'interno della produzione di un determinato autore, facendo sì che si passasse da una partita a Catacombe (Caverns of Khakfa) a Maya Adventure (Aztec Challenge) ignorando di stare giocando sempre ad un'opera realizzata da Paul Norman. Ancora oggi, su forum e newsgroup, non è raro incontrare domande del tipo "Qual è il vero nome di Predatore?" e "Il vero nome di Sala Giochi?" e via discorrendo (rispettivamente Montezuma's Revenge e Lazy Jones, per la cronaca).

Oltre alle considerazioni di tipo culturale, va osservato che la molla che spingeva verso la commercializzazione di giochi non era mai di tipo creativo, quello che importava era solamente ottenere un lucro, sacrificando a ciò tutto il resto: qualità, packaging e cura. Persino l'opera di traduzione in lingua italiana, che a prima vista potrebbe essere considerata un vantaggio, era in realtà una ulteriore scusa per dissimulare l'opera originale. Tanto più che l'operazione si risolveva nella grande maggioranza dei casi nel leggere "PUNTI" invece di "SCORE". Praticamente inutile.

Non solo quindi l'italianizzazione del gioco non apportava nessun miglioramento, ma in taluni casi si spingeva fino a stravolgere l'opera originale. Sotto questa luce non si può che deprecare la consuetudine di spezzettare i giochi multi-livello come Creatures o del già citato Castle of Doctor Creep, per renderli compatibili con il caricamento su nastro o la rimozione delle parti sonore allo scopo di recuperare spazio sul nastro e infilarci più giochi possibile.

Altro vantaggio, o presunto tale, quello della maggiore disponibilità di giochi.
Le compilation da edicola, infatti, erano distribuite capillarmente e davano a tutti la possibilità di attingere a grandi quantità di materiale senza sforzo (a parte quello economico). Tuttavia, un parallelo con la situazione all'estero ci rivela che forse non è tutto oro quello che luccica. E' ipotizzabile infatti che un eventuale vuoto lasciato dalla pirateria industriale sarebbe stato - almeno parzialmente - riempito con tutta facilità dalla pirateria convenzionale, esattamente come avveniva al di fuori dell'Italia.

Un aspetto rilevante dei giochi tradotti era costituito dalla protezione contro la copia del gioco, particolarità totalmente assente nella cultura dell'hacking propugnata dai Cracking Group (di questi ultimi parleremo in seguito).

Software Pirata "Legale"?

015_mc-microcomputer_numero_44_pagina_22Quella della (presunta) legalità è la grande zona grigia che con le sue insidie e false apparenze è sempre pronta a trarci in inganno e confonderci. E' rimasta infatti impressa nel sentire comune la convizione che le compilation pirata fossero legali. L'equazione che solitamente viene fatta è "uscivano = erano legali" ma questo processo logico è in realtà viziato.

Un trafiletto apparso su MC-Microcomputer Numero 44, pagina 22.

Non solo questa tesi viene sostenuta quasi regolarmente nel corso di normali discussioni, ma la cosa coinvolge anche articoli ed enciclopedie. Per esempio, durante le ricerche volte alla realizzazione del presente saggio, mi è capitato di trovare tale asserzione anche nella famosa enciclopedia collettiva Wikipedia e, sebbene non partecipi regolarmente a tale progetto, il mio primo istinto è stato quello di modificare la voce per riparare gli errori.

In seguito però ho deciso di lasciare perdere, nulla garantisce infatti - visto che l'errore è già stato fatto una volta - che qualcuno decida successivamente di ripristinare la versione originale (non corretta). Come si può immaginare ciò condurrebbe a una successiva contro-correzione e così via finchè il tutto si ridurrebbe ad una battaglia per fare valere le proprie opinioni. Battaglia che porterebbe via tempo rischiando di vedere insoddisfatte entrambe le parti. Ci sarebbero molte considerazioni da fare in merito all'utilità di una enciclopedia cosiddetta "libera" in campi controversi ma ovviamente questo non è il luogo più adatto per afftontare il discorso.

Proviamo dunque a fare chiarezza in questa sede.

E' vero che non esisteva una legge mirata che proteggesse il software in maniera mirata ed efficace e stabilisse le pene, ed è da qui che nasce l'equivoco di fondo. Ma è altrettanto vero che ci sono state una serie di condanne comminate ai pirati durante processi intentati dalla perti lese e basate sulla vecchia legge sul Diritto d'Autore che arrivarono a fare giurisprudenza.

015_super_1985_numero_11_pag_37Trafiletto tratto da Super Commodore 5 del Maggio 1985

Ricordiamo qui il caso di "Mezzogiorno di Fuoco" di Systems editoriale, che proprio questo sito ha riportato sotto i riflettori nel corso dell'intervista all'editore Michele di Pisa.
Un altro caso è documentato dai trafiletti che compaiono poco sopra, ed altri (ad esempio quello che ha riguardato un ulteriore caso con Jackson Editoriale) ancora sono reperibili in una serie di articoli pubblicati da riviste dell'epoca e che Ready64 ha riprodotto nelle parti successive del presente "Speciale Pirateria".

Riporto di seguito l'estratto di un articolo di Mc-Micromputer numero 132 di Manlio Cammarata[1], pubblicato in occasione dell'entrata in vigore della nuova normativa del 31 Dicembre 1992 (che di fatto poneva fine al fenomeno).

"[...]Gli aspetti civilistici erano stati in qualche modo risolti dalla giurisprudenza (cioè dalle sentenze dei magistrati), che, dopo alcuni tentennamenti, avevano ritenuto di poter applicare le norme sul diritto d'autore anche al software, in quanto "opera dell'ingegno". Mancava però il deterrente di sanzioni penali, impossibili perché non specificamente previste come reati.

La copia abusiva di un programma non poteva infatti essere considerata furto o appropriazione indebita, perché questi reati devono essere commessi con la sottrazione di una "cosa" al legittimo possessore, mentre la duplicazione del software non toglie al detentore la disponibilità del bene. La Comunità europea aveva emesso una direttiva, la 91/250 del 14 maggio 1991, che imponeva ai paesi membri di estendere al software entro il 31 dicembre '92 la normativa sul diritto d'autore, che da decenni è oggetto di accordi internazionali. La direttiva conteneva anche alcune indicazioni specifiche, relative, fra l'altro, al divieto di "reverse engineering".[...]".

Come si evince da quanto appena riportato, ci si trovava in una zona grigia che col passare del tempo perdeva le sue sfumature. La tendenza dopo i primi anni era quella di condanna e quindi non vi sono elementi per asserire che le compilation da edicola fossero legali.

Ancora questo sito ha rivelato pubblicamente per la prima volta, nell'intervista a Roberto Preatoni, la prassi degli editori pirata di far firmare un contratto al cracker di turno in cui dichiarava di essere l'autore del gioco piratato. Evidentemente una forma di manleva di responsabilità da parte dell'editore, che in pratica addossava all'operaio i rischi dell'impresa illegale.

Dal web, inoltre giunge testimonianza dell'esistenza di vere e proprie liste[2] di Software House da non piratare, stilata dai pirati dell'epoca. Questa lista conteneva infatti i nomi di tutti quegli editori ed importatori più battaglieri e decisi a proteggere le loro opere sul territorio italiano.

E questo ci porta diritti a considerare un'altra concausa tra quelle che hanno permesso l'esistenza e diffusione dei titoli camuffati. Osservando bene i nomi degli editori che hanno fatto causa (molti dei quali costituitisi in consorzio chiamato "Assoft"), scopriamo trattarsi di tutti editori italiani o importatori ufficiali, come la Mastertronic di John Holder.

Affinchè la Software House pubblicatrice del prodotto originale avesse interesse o convenienza ad intentare una causa, era di fatto necessaria una presenza legale sul territorio in cui era commessa l'infrazione. E' facile immaginare quindi la ragione per cui notissime case inglesi, tedesche o americane non provassero a contrastare questo fenomeno. Intentare una causa in uno Stato estero avrebbe presentato un grosso punto interrogativo e la non certezza di riuscire a far valere i propri diritti.
Inoltre occorre ricordare che questi publisher avevano già il loro bel da fare a guardarsi dalla pirateria di casa loro, che sebbene si svolgesse con modalità diverse (cioè non "dissimulata" e non "industriale") aveva comunque dimensioni tali da nuocere ai loro affari. In altre parole il gioco non valeva la proverbiale candela.

Gli altri soggetti Pirata

Ho appena citato la pirateria presente all'estero. Le sue modalità sono già ben note e molto differenti tra loro. Queste forme si ritrovavano tali e quali anche nel nostro paese e si affiancavano alla pirateria industriale. Per completezza proviamo di seguito ad elencare le principali figure.

I Cracking Group (La "Scena")

I Cracking Group si sono diffusi universalmente in molti paesi, Italia compresa.
Il "cracker" era sostanzialmente un appassionato che agiva da solo o in piccoli gruppi, lavorando rigorosamente nell'ombra. Naturalmente attento a non farsi scoprire dalle autorità, amava firmare i crack con il proprio nome per costruirsi così una certa fama nell'ambiente. Non aveva propensione a dissimulare nè a dissacrare l'opera originaria modificando il nome e rimuovendo i crediti originali. Il suo vanto, al contrario, era quello di pubblicizzare sè stesso al fine di acquisire fama e credito all'interno della comunità.

Nel tempo l'abitudine di apporre una semplice firma nelle schermate di gioco, si tramutò e prese forma la prassi di realizzare cosiddetti "intro", spesso opere di ottima fattura in graddo di sfoggiare grafica (loghi, effetti) e musica di alto livello.

Da queste attività di sprotezione è nata una sorta di cultura underground sovranazionale, formata da persone tecnicamente abili ed in competizione tra loro nel realizzare la migliore versione possibile di un determinato gioco, fixando errori presenti nel software originale, inserendo dei loader più veloci, e via discorrendo. Ciò fa si che questa attività abbia assunto forti connotazioni creative, anche se non era volta a creare qualcosa dal nulla ma a modificare qualcosa di esistente.

Non tutti i Cracking Group lucravano con la pirateria, era anzi diffusa la consuetudine di scambiarsi programmi (swapping), condividerli su BBS oppure di distribuirli gratuitamente.

Da una costola del cracking, probabilmente in seguito alla  citata pratica di inserire piccole intro nei programmi piratati, viene fatta generalmente risalire la nascita della Demoscene. Tra i gruppi storici più famosi  della Scena ricordiamo i Triad, Ikari, Fairlight, Genesis Project, mentre in Italia nacquero realtà come i F4CG in grado di affermarsi a livello internazionale. Alcuni gruppi sono attiviti anche nella cosiddetta epoca moderna, ovvero in tempi di emulazione, come i Remember, i Nostalgia e gli italiani Hokuto Force.

I Negozianti

Un altro soggetto attivo è stato il negoziante classico (o meglio, una parte di essi). Piuttosto diffusa infatti, era la pratica di taluni commercianti di incentivare la vendita di software, proponendo sottobanco programmi duplicati a prezzi ribassati. In molti casi i giochi erano copiati tramite l'interfaccia denominata duplicator che consentiva di collegare due registratori (uno in lettura, l'altro in scrittura) oppure tramite l'utilizzo di un normale stereo a doppia piastra. In tal caso si trattata di copie 1:1 rispetto all'originale. Vi erano poi coloro che rivendevano cassette tipo Armati, che abbiamo citato all'inizio.

Ovviamente si tratta di una figura che non ha nulla a che vedere con quella del cracker. Entrambi pirati ma agli antipodi per filosofia. Questo parallelo da solo basti a considerare come la parola "Pirateria" da sola sia inadeguata per descrivere il fenomeno nella sua totalità.

Gli Utenti

Dai Cracking Group poi discende la base di utilizzatori del software, specialmente videogiocatori che pur non avendo conoscenze specifiche, provvedono a far circolare il software gratuitamente attraverso la rete di amicizie e conoscenze grazie alla possibilità di disporre di giochi senza protezione e quindi facilmente trasferibile. Questo aspetto, alla portata di tutti, ha contribuito a diffondere a macchia d'olio il software non originale e, come la pirateria nel suo complesso, ha indubbiamente funzionato da stimolo alla vendita di hardware.

Conclusione

Nel realizzare il presente articolo mi sono reso conto che per esaurire l'argomento sarebbe stato necessario scrivere un libro intero. Non è un paradosso buttato lì a caso per giustificare eventuali lacune che il lettore potrà sicuramente trovare ma è un semplice dato di fatto. Molti sono infatti gli aspetti lasciati fuori da questa trattazione e molte ancora saranno le pagine da scrivere in futuro, soprattutto se le persone coinvolte nella pirateria dell'epoca decideranno di farsi avanti ed esporre la loro testimonianza.

La natura di questo scritto è dunque quella di essere un work in progress, destinato eventualmente ad essere ampliato nel tempo a venire. Le idee qui espresse inoltre non hanno pretesa di completezza: si è voluto esporre una analisi sulle differenze esistenti tra la pirateria italiana e quella presente oltre confine e mettere l'accento sul paradosso italiano.

Concludo con una considerazione personale.

In una situazione che potrebbe essere definita "virtuosa", ciascuno è destinato a svolgere il proprio mestiere. L'industrialità costituisce un'aberrazione perché sovvertiva la regola non scritta della pirateria: nei casi descritti era esercitata da investitori, quelli che generalmente formano l'imprenditoriato, che abitualmente si assumono il rischio di impresa e che normalmente avrebbero dovuto essere produttori di software originale. Allo stesso modo, la dissimulazione agiva impoverendo il patrimonio culturale nel momento esatto in cui il videogioco si stava diffonendo nei sistemi casalinghi di tutto il mondo.

Tra gli articoli che seguono, si segnala quello apparso su Commodore Gazette come uno dei più completi riguardo la situazione italiana, mentre il pezzo apparso su K offre una panomarica più ampia sulla situazione internazionale, allargando il discorso alla clonazione dei concept.

Elenco Articoli correlati:

  • Commodore 64 & Pirateria 00: Introduzione
  • Commodore 64 & Pirateria 01: P come Pirata (CCC 34 - 1986, Settembre)
  • Commodore 64 & Pirateria 02: Oltre le Edicole (CCC 37 -1986, Dicembre)
  • Commodore 64 & Pirateria 03: I Pirati del Ventesimo Secolo (Noi C64 & 128 - 1987, Settembre)
  • Commodore 64 & Pirateria 04: Dossier Speciale - I Pirati in Italia (Commodore Gazette - 1987, Settembre)
  • Commodore 64 & Pirateria 05: Chi non ha mai copiato scagli il primo dischetto (CCC 48 - 1987, Dicembre)
  • Commodore 64 & Pirateria 06: Licenza di Clonare (K - 1989, Gennaio)
  • Commodore 64 & Pirateria 07: Originale o Copiato (CCC 71 - 1990, Gennaio)
  • Commodore 64 & Pirateria 08: Editoriali Next (Next)
  • Commodore 64 & Pirateria 09: Varie

Riferimenti:

[1] Altri articoli sulla pirateria a cura di Manlio Cammarata sono comparsi nei numeri 129, 131 e 132 di MC-Micrcomputer
[2] Un ottimo articolo, resoconto di uno dei programmatori del gioco "Camel Trophy" per Zx Spectrum, cita questa circostanza. Fonte: Camel Trophy Videogame vent'anni dopo

Glossario:

[a] Dump: operazione che consente il trasferimento della memoria contenuta in una casetta o un floppy all'hard disk. Il file generato può essere utilizzato con un emulatore ed eventualmente ri-trasferito nel supporto originario.
[b] Crack: processo che consiste nel rimuove la protezione anticopia presente in un software.

Commenti
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Grandioso lavoro Rob! Pubblicizzerò il tuo articolo, anzi, chiamarlo articolo è riduttivo, come lettura essenziale per comprendere la situazione italiana (passata e attuale) riguardo l'industria del videogioco.
# - postato da cepsanta - 06 April 2010 [19:44]
Mi unisco alla lode e ovviamente diffondo a mia volta. Avendo vissuto in prima persona, e in età più matura rispetto alla maggior parte degli acquirenti di allora, non posso che quotare quanto scrivi. Senza contare che persino i miei giochi di allora sono stati copiati e rivenduti con altri nomi, in edicola... che tristezza.
# - postato da BDB - 19 April 2010 [08:12]
Ho vissuto l'epoca della -pirateria da edicola- come brufoloso adolescente, felice possessore di (più di) una macchina Commodore. Allora, come adesso, credo che il -problema- della pirateria sia stato (ed è tutt'ora) un falso problema. I più grandi produttori di software a livello mondiale, hanno raggiunto i massimi livelli solo quando i loro software sono stati considerati "standard de facto" e per diventarlo, i programmi dovevano essere conosciuti ed utilizzati dal maggior numero di persone, indipendentemente che le copie utilizzate fossero lecite o meno. Per restare nello specifico, se durante la mia adolescenza non avessi potuto acquistare software nelle edicole, semplicemente non l'avrei potuto acquistare da nessuna parte perché, abitando in un piccolo paese di provincia, mi era fisicamente impossibile raggiungere un distributore ufficiale e, quand'anche l'avessi raggiunto, le mie finanze non mi avrebbero permesso l'acquisto dei programmi di mio interesse. E' un dato di fatto che i -pirati- hanno incassato parecchie decine di milioni di vecchie lire attraverso le loro attività illecite. La domanda sorge quindi spontanea: perché anche i distributori ufficiali di software non hanno scelto la strada delle edicole e dei prezzi più "popolari"? Gli unici software originali che ho posseduto sono stati quelli distribuiti dalla Systems editoriale, venduti in edicola oppure spediti per posta (come il mitico "La Voce III"). Ancora oggi non capisco perché un sistema operativo OEM costi circa 100€, mentre lo stesso venduto sugli scaffali dei negozi specializzati, venga venduto a più del doppio... Siamo proprio così sicuri che la -colpa- sia solo di chi -copia- e non anche di chi -crea terreno fertile- perché le copie illecite abbiano ragione di esistere? Perché -la gente- va in libreria ed acquista un libro, invece di farsi delle fotocopie rilegate dello stesso? Un DVD/CD prodotto industrialmente costa pochi centesimi di €; siamo proprio sicuri che sia da vendere +200€?
# - postato da Flavioweb - 14 August 2010 [17:27]
@Flavio: Ovviamente anche io sono stato a tutti gli effetti un utente. Però nel momento in cui decido di scrivere un articolo devo fare uno sforzo di immedesimazione e provare ad esaminare i fatti anche nell'ottica delle altre figure coinvolte. Lo stesso sforzo è un pò richiesto anche al lettore; per esempio, credo di aver risposto alla maggior parte dei quesiti che hai posto. Ma non ho capito se le risposte fornite sono insufficienti o addirittura sbagliate... Per quanto riguarda invece i "software che diventano standard de facto" posso condividere alcuni aspetti del ragionamento ma lo stesso principio non è applicabile alla pirateria dei videogiochi, che nel nostro caso dovrebbe essere il tema centrale.
# - postato da Roberto - 24 August 2010 [19:56]
@Roberto: Il mio commento precedente non voleva essere una critica a quanto da te scritto nell'articolo che, anzi, secondo me -fotografa- molto bene la situazione di allora. Con le mie parole volevo semplicemente dire che, allora come oggi, molte software house fanno ricadere le colpe dell'incapacità manageriale di chi dovrebbe gestirle sui "pirati". Prezzi troppo elevati per il software ed una cattiva rete distributiva sono stati la causa principale delle minori vendite (minori rispetto al numero di utenti effettivi del software). In parole povere: perché i giochi originali non venivano distribuiti in edicola come quelli -pirata-? Qual'era la ragione che ne limitava la distribuzione ai soli -negozi specializzati-? Se una copia del gioco fosse stata venduta (originale) a 10.000 lire in edicola, anziche a 50.000 altrove, quante vendite in più ci sarebbero state e, quindi, quanto guadagno ulteriore avrebbero potuto fare le software house? La "cassetta" fatta in casa costava 1000 lire... prodotta industrialmente quanto sarebbe potuta costare? Non c'era un margine di guadagno sufficiente per la software house e per la rete distributiva? Io ricordo cassette pirata con un solo gioco (Cybernoid per la precisione): perché non potevano essere -originali-? E non mi si dica che -programmare- un gioco costa e copiarlo no, perché ogni copia venduta in più è comunque un guadagno supplementare. Perché la maggior parte delle persone acquista i libri e i giornali che legge e non se li fotocopia? Non ha forse un costo scrivere un libro? Ecco... Occorrerebbe fare lo stesso con il software.
# - postato da Flavioweb - 08 November 2010 [21:14]
Molte di quelle riviste con cassetta contenevano anche recensioni di giochi "ufficiali" e altri articoli; ho scoperto (magari lo sapevate già, ma non mi pare che se ne parli in questo sito) che alcune di queste recensioni sono traduzioni più o meno fedeli di articoli apparsi sulla rivista britannica dell'epoca Commodore User, oggi facilmente reperibile online. Ovviamente nessun cenno al copyright della rivista originale... non è difficile immaginare che di traduzioni non autorizzate ce ne siano tante altre, anche da altre riviste straniere. Insomma, oltre ai giochi scopiazzavano pure i testi :)
# - postato da Kirie e Leison - 24 April 2017 [06:23]
Articolo davvero molto interessante, ho vissuto quegli anni da adolescente, senza avere una visione di insieme, e non avevo mai realizzato che molte di quelle pubblicazioni che giravano nelle edicole ed altrove fossero pirateria industriale. Seppur in ritardo di parecchi anni rispetto a quando è stato scritto, non posso che complimentarmi con gli autori.
# - postato da marus - 12 April 2018 [00:56]
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