Come vanno valutate le avventure in base al periodo in cui sono uscite?
Secondo me vanno valutate in maniera storica, tenendo presente anche il contesto nazionale. Per un certo periodo di tempo questi sono stati gli unici giochi italiani originali che fosse possibile vendere. Già questo le rende interessanti come fenomeno culturale.
Le ingenuità c'erano, le lacune anche, ma le collane sono andate avanti per anni, anche con una certa evoluzione tecnica. Explorer e Viking erano fatte con il Quill ed erano indubbiamente superiori al framework in basic della Arscom. Gli esperimenti misti grafico/testuali di Carlo Landolfo per la SIPE sono notevoli, non fosse altro per l'interfaccia. La Systems diede spazio a Certi e Toldi che avevano creato un parser e delle storie effettivamente molto superiori alla media nazionale. Ci furono anche esperimenti con la sintesi sonora (ricordo un urlo digitale in Dylan Dog, se non vado errato). Poi il genere è crollato dal punto di vista commerciale, non solo in Italia.
Io sono tra quanti ritengono che già al momento della loro uscita queste avventure presentassero diverse lacune e ingenuità, che certo magari si avvertivano in misura minore, ma che comunque erano oggettive.
Sicuramente. Del resto i software italiani di quegli anni che non avessero lacune o ingenuità oggettive si contavano sulle dita di una mano, a parte qualche programma per il totocalcio.
Del resto che ci fosse qualche problema era stato pubblicamente ammesso dagli autori e lo stesso cambio al timone di Next Strategy è una ulteriore ammissione in questo senso, che giunge questa volta dall'editore. Chissà poi perchè ad un certo punto nessuno volle più saperne di pubblicare avventure seriali e queste cominciarono ad essere distribuite solo per posta.
Problemi ce n'erano a iosa, ma qui ho un vuoto. Mi pare che la parentesi di distribuzione postale sia antecedente all'ultima incarnazione Arscom Epic3000/Epyx 3001, ma potrei sbagliarmi. In ogni caso il C64 dopo il 1986 cominciava a essere insidiato da altri sistemi, sia 16bit che console. Probabilmente i costi di distribuzione in edicola e di reso non erano più sostenibili con la "nicchia" degli appassionati.
Penso magari ai giovanissimi, oppure alle persone più mature che all'epoca vedevano il videogioco come qualcosa di alieno ma che invece non disdegnavano una storia interattiva pur con tutti i limiti del caso, oppure ancora a chi non aveva mai visto altre avventure e non aveva una pietra di paragone o a chi parlava solo l'italiano.
Questo non sminuisce i difetti intrinseci che indubbiamente si riscontrano nelle varie Next Strategy e a seguire ma in qualche modo ne giustifica l'esistenza.
Secondo me stiamo trascurando un altro fattore. Il fenomeno dell'home computing, prima dell'avvento dei 16bit, non limitava l'utilizzo della macchina a fini ludici, e la percentuale di "smanettoni" rispetto al totale dell'utenza era sicuramente sopra alla media attuale.
Per fare un esempio almeno fino al 1986 qualsiasi rivista di taglio giovanilistico si occupava di computer in un modo che oggi sarebbe considerato da veri "nerd". Ricordo distintamente che Lancio Story pubblicò il listato in Basic a puntate di un'avventura testuale del tutto elementare (una serie di print e input, per capirsi).
Chiaro che giochi considerati "di ragionamento" potessero sembrare più appetibili a questo tipo di utenti, che pure non trascuravano gli arcade. Le avventure testuali, poi, a me hanno sempre ricordato più i giochi di ruolo che i libri. E all'epoca D&D andava alla grande.
Ma a conti fatti Edisoft ha gestito le sue collane con cura e personalmente ne ho molta stima.
Stima che condivido in pieno.
Questa visione, mi rendo conto, è talmente reazionaria che a qualcuno sembrerà strano persino che io l'abbia esposta. Provate però ad immaginare un fumetto o telefilm americano o inglese con protagonista un investigatore italiano.
E' la storia dell'Europa sconfitta del dopoguerra, e non è che in Francia, in Germania o in Spagna le cose siano andate sempre meglio da questo punto di vista. In Inghilterra sono diventati esportatori di modelli culturali e icone pop come i Beatles e i Take That, noi abbiamo avuto i Pooh e gli Articolo 31 :-)
La forza degli americani – oltre all'esportazione di modelli precotti - è quella di prendere le culture straniere e trasformarle in un pezzo della loro melting pot.
Arthur Fonzarelli, Rocky Balboa, Don Corleone, Tony Soprano, John Rambo, Kay Scarpetta, Joey Tribbiani di Friends (per dire i primi personaggi che mi vengono in mente) sono tutti "italian", ma ovviamente parlano inglese perché sono cittadini americani di seconda, terza o quarta generazione.
Ci fu un caso a fine anni Quaranta di un personaggio veramente italiano protagonista di un radiodramma popolare (Life with Luigi), ma era un povero neoimmigrato con tutti gli stereotipi del caso che serviva fondamentalmente a insegnare ai nuovi "dagos" i valori del patriottismo americano (e a prenderci neanche tanto sottilmente per i fondelli).
]Per queste ragioni voglio sperare che non arrivi nessun JJ Abrams italiano, (o messia di turno) che venga a dirmi cosa deve piacermi e cosa no e per rivalutare una serie di avventure che non esprimo nulla di originale ma che sono mutuate da modelli concepiti oltre-oceano.
Scusa ma questo mi sembra ingeneroso. Il 99% della produzione italiana di software di quegli anni non solo mutua modelli d'oltreoceano ma si esercitava su macchine pensate e prodotte negli USA, se no questo sito si chiamerebbe Ready Olivetti Prodest. Ed è tanto più vero per l'arcade, basta vedere i giochi italiani che sono ospitati nel tuo sito: anche i più belli sono cloni di concept stranieri.
In Italia in quegli anni abbiamo dato due contributi originali rispetto all'informatica di massa: le cassette pirata in edicola e le avventure testuali seriali. Inutile dire cosa preferisco, pur condividendo il tuo ragionamento sui limiti tecnici.
Non verrà nessun JJ Abrams (purtroppo, aggiungo io) ma qualche scrittore o regista influenzato da quell'esperienza di cultura popolare (o sottocultura, se vuoi) ci sarà di sicuro, visto che decine di migliaia di bambini e ragazzini hanno giocato con quelle avventure e poi magari sono finiti a programmarle.
Non a caso gli stilemi delle avventure testuali (le botole, i labirinti, i passaggi segreti, le parole chiave da inserire in computer mastodontici, l'enigmistica) stanno emergendo nell'intrattenimento popolare tra i narratori 30-40enni. Io ho citato JJ Abrams, ma l'intero Codice Da Vinci sembra un'avventura testuale di serie B per come è impostato (mistero in un paese straniero, enigma, ragionamento, risoluzione).