Intervista a Stefan Roda

Autore: Raffox - Pubblicato il 26-12-2008.
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Dopo aver pubblicato una estesa trattazione del fenomeno "Genias" a cura di Stefan Roda (L'Era dei Geni), abbiamo voluto regalarci un'appendice, sottoponendo Stefan a qualche domanda supplementare.


Saresti in grado di raccontarci come in Genias veniva organizzato un progetto (ad esempio Chuck Rock, o Mystere...), dall'esordio (a tavolino, con carta e penna? Scegliendo i programmatori e definendone i ruoli in base alle loro abilità? Creando uno schema di lavoro?), al modo in cui operavi tu stesso nel roulo di 'project manager'. E di come venivano adottate scelte e prese decisioni internamente alla software house, che tipo di organizzazione c'era. Magari descrivendoci una giornata tipo di Stefan Roda.

Sveglia presto, normalmente alle 6 di mattina (abitudine che conservo ancora oggi), colazione e riassunto mentale degl’impegni giornalieri. Seriamente, a quei tempi la mia attività era alquanto empirica, il mio lavoro non esisteva in Italia (se non in ambito di software industriale per pochi eletti), non c’erano ne corsi di formazione ne stages: ero un giovane con una formazione prettamente tecnica. Tramite gli skill attuali e la formazione di management di oggi sarebbe stata una cosa completamente diversa sia al livello organizzativo che procedurale.

Detto ciò, alcune capacità sono innate, anche se non utilizzate a livello cosciente, motivo per cui comunque esistevano “vari ruoli non codificati” nonché la capacità di adattarsi ad essi: dal software manager, al product manager, al project manager e al team manager. Insomma era in realtà un ruolo polivalente… e con questo finisco l’autocelebrazione. Normalmente i programmatori si presentavano in Genias con una lettera o con una telefonata. Veniva fatto un colloquio in presenza di Riccardo, venivano valutati eventuali demo realizzati, veniva valutata anche la motivazione nonché le aspirazioni dei candidati. Poi era Riccardo che decideva cosa fare.

Nel mio caso specifico posso dire che mi supportava in tutte le attività, oltre che per gli aspetti commerciali di sua competenza. I Geni invece si potevano dividere in due categorie: quelli che facevano di “testa loro” con un prodotto oramai quasi ultimato o da affinare (es. Andrea Pompili), insomma come uno scrittore che cerca una casa editrice, mentre altri che sviluppavano ciò che gli si chiedeva (es. Antonio Miscellaneo ed Ivan Del Duca).

Nel primo caso era più un lavoro di limatura appunto, di perfezionamento e completamento. Nel secondo caso il discorso era molto più arduo dato che vi erano due aspetti da considerare come ad esempio interfacciare chi aveva realizzato la versione Amiga di un gioco da convertire e gli sviluppatori per C64 (alleggerendo in qualunque modo possibile la comprensione di un codice scritto in C o Assembler 68000 per chi conosceva “soltanto” il 6510), nonché fornire, a chi faceva programmi, qualsiasi elemento documentale (flow-chart, disegni, concept e quant’altro).

Spesso tutto era “in testa” e addirittura alcuni elementi venivano inventati sul momento. Non di rado chi faceva le conversioni doveva provare e testare per ore il game da convertire al fine di capire come funzionasse, quali fossero le feature e i vari aspetti salienti da implementare. Qualche aiuto in più arrivò invece da Core Design per la conversione di Chuck Rock, nulla di trascendentale, ma almeno ci fornirono le mappe di gioco, qualche cheat per le “vite infinite” nella versione Amiga al fine di verificarne accuratamente alcuni aspetti, un po’ di grafica da convertire e qualche pezzo di sorgente.

Insomma si poterono soddisfare le richieste di Luca Zarri, il quale per la verità, fu uno dei primi, se non l’unico, ad utilizzare l’Amiga per programmare sul C64. Un approccio quindi molto diverso quello di Luca, rispetto ad altri sessantaquattristi, che ci avvantaggiò molto in quanto già conosceva il C e l’Assembly di Amiga. Il suo apporto e la sua esperienza resero le conversioni particolarmente riuscite e fedeli all’originale.

In sostanza ogni singolo prodotto, ogni singolo programmatore o team, andava gestito in maniera differente a seconda del proprio dna; tra le varie difficoltà operative già evidenziate ricordo che c’era una mole di lavoro enorme sotto tutti gli altri aspetti produttivi.

Inoltre Riccardo, per avere il giusto feeling anche a livello internazionale, seguiva i vari trend e quindi le tipologie di gioco più trainanti (adventure, shoot-em up, sport racing ecc.) o che sarebbero stati accolti più favorevolmente dal mercato estero, oltre a quello italiano ovviamente. Quindi si stendeva il concept, linee guida, come sarebbe dovuta essere, ad esempio, la visualizzazione, se c’era qualche esempio o gameplay interessante nel settore dei coin-op da seguire e quale potesse essere il team più adatto ad occuparsene.

Poi i singoli team operavano in piena autonomia, con verifiche periodiche del progresso, mentre alcuni volontari, per lo più ragazzi comuni, giocatori incalliti, si occupavano del game test presso la sede di Genias.

Quindi con l’entusiasmo e la voglia di fare si arrivò, a mio parere, ad una produzione di titoli enorme in soli 3 anni, basti vedere la foto che ritrae i giochi prodotti sino al settembre 1992: ben 18 titoli incluse le varie versioni, per una media di 6 giochi all’anno… cosa impensabile e improponibile oggigiorno.

Dati i tempi, Zzap era probabilmente uno dei pochi canali più validi per capire cosa stesse bollendo nella pentola degli altri, grazie alle sue anteprime. C'è qualche aneddoto che pensi di poter aggiungere riguardo la conocorrenza nel mercato italiano da parte di altre software house? Ad esempio la Simulmondo che hai già citato... o la Idea di Antonio Farina.

Zzap! era un validissimo, se non l’unico, canale di comunicazione con i tantissimi appassionati del C64, inoltre era anche un mezzo utilizzato per diffondere alcuni “messaggi trasversali” ma, come accennavo, a volte questa competizione “indotta” tra software house italiane risultava essere alquanto artificiosa.

Già a quei tempi si parlava di concorrenza, termine che io però ritenevo sbagliato e a maggior ragione oggi, con il senno di poi. Come si poteva essere concorrenti? Si parla di concorrenza quando si propone lo stesso prodotto, magari migliore e ad un prezzo più basso. In realtà c’era una specie di rivalità “alla bolognese” soprattutto tra Genias e Simulmondo. L’impostazione delle due software house era profondamente diversa.

Quest’apetto lo analizzo oggi dato che ai tempi non avevo le competenze per valutare le strategie aziendali. Da una parte c’era la Simulmondo che stava sviluppando soprattutto per il mercato italiano, una strategia di crescita verticale se vogliamo, specializzandosi in giochi su licenza e utilizzando come canale distributivo principale le edicole, dall’altra Genias seguiva uno sviluppo orizzontale, con prodotti più “generalisti”, ma adatti al mercato estero.

Questo come strategia di fondo, poi ciò che sfornavano le software house era completamente diverso: i prodotti Simulmondo (secondo me il migliore rimane F1 Manager) erano improntati sulla simulazione, su un certo “pathos emotivo e di coinvolgimento”, dato dalla cura di certi dettagli, dal concept, dalla grafica mentre i prodotti Genias erano invece più arcade, con meno filosofia e più azione. Ovvio che sto esprimendo un giudizio personale; sarebbe più appropriato ascoltare i rispettivi titolari dato che le strategie e ciò che era da sviluppare e commercializzare erano prettamente scelte loro.

Per quanto riguarda Idea, o Antonio Farina, non ricordo nulla. Ai tempi in Genias non mi sembra si sentissero antagonismi nei confronti di questa software house. Con questo non voglio togliere importanza ad Idea, ad Antonio Farina o ai Geni che hanno sviluppato software per loro, ma non riesco parlare di ciò che non conosco o ricordo. Spero che qualcuno possa valorizzare giustamente quanto da loro realizzato per la storia del Commodore 64 in Italia.

A proposito di Tilt e di Angelo Righi cosa ci puoi raccontare? e di Andrea Pompili, hai qualche notiziola in più da poter snocciolare?

Purtroppo poche notizie o integrazioni. Entrambi conosciuti alla fine della mia attività in Genias, soprattutto Angelo. L’ho visto poco perché era seguito da Valensise dapprima per la conversione di Tilt (il cui concept era dello stesso Valensise) e poi, credo gli sia stato dato l’incarico per Top Wrestling per C64. Non sò se uscì la conversione ma nella mia collezione, che si ferma a Settembre 1992, la scatola non è presente (non è uscita, come conferma Angelo nella sua intervista - NdR).

Qual'è stato il momento più felice e quale invece il più buio, che hai vissuto in Genias?

Molti i momenti felici. Sicuramente al roll out di ciascun nuovo gioco Genias sul mercato.

In altri contesti ne posso citare uno: l’invito all’anteprima europea del film “La Storia Infinita II” a Berlino. Andammo in auto, io e Riccardo, eravamo già in Germania appunto per accordi internazionali. Era, penso, l’inizio del 1990 e faceva molto freddo… il muro era “crollato” da pochi mesi.

Mi ricordo ancora le vecchie autostrade dell’ex Germania Orientale fatte con lastroni di cemento, le Trabant e, una volta arrivati a Berlino, i pezzetti di muro ancora esistenti (peccato non averne preso qualche mattone come souvenir). L’invito arrivava tramite un futuro distributore tedesco che tra l’altro doveva incontrare (e incontrò) il romanziere Michael Ende autore del libro per le licenze dei games. Era un invito VIP in uno splendido teatro nel centro della città, con tanto di tappeto rosso, fotografi e flash dappertutto, magica atmosfera hollywoodiana, statue di ghiaccio, i famosi bicchieri a piramide con fiumi di champagne, tartine, caviale, salmone e stupende attrici, mi ricordo ancora che Clarissa Burt passò a fianco a me, al buffet, e mi sorrise (questi ricordi rimangono…).

Avevo 22 anni, e queste cose le avevo viste soltanto in TV ma viverle era differente, un’esperienza forte ed “esclusiva”. Del film invece non ricordo nulla (forse ho una mente selettiva).

Momenti meno felici ho preferito cancellarli dalla memoria (useless garbage collection).

Essendo Genias interessata anche al mercato estero, hai avuto modo di osservare la qualità e l'organizzazione di software house fuori dall'Italia? In termini di paragone, cosa ci puoi dire in proposito?

All’estero erano molto più fortunati. Sia come potenziale di mercato, come distribuzione specializzata (es. Virgin Megastore), come concentrazione di software house nonché come disponibilità di programmatori nella stessa città; Londra, ad esempio, ne era piena.

Qui si formarono le prima software house con programmatori in house che spesso, per poche sterline specie agli inizi, programmavano giorno e notte e dormivano presso il luogo di lavoro. Ma non era tutto oro. Mi ricordo di averne visitata una (e non ne faccio volutamente il nome), nell’immediata periferia di Londra, in un classico scantinato umido, con l’odore di muffa e una consunta moquette. Qui, in diverse stanze, erano alloggiati numerosi programmatori, con bagno e cucina in comune. I più fortunati avevano un letto nello stanzino, altri invece dormivano su materassi. Ciascuno aveva una piccola scrivania con C64 e monitor. Insomma si favoriva la comunicazione nel team e lo sviluppo con la presenza fisica, una specie di studendato, ma non era certo un campus all’americana. Per un italiano era abbastanza scioccante vedere una realtà “aziendale” di quel tipo. Ovvio che non tutte le software house estere erano così.

Ma, tornando a Zzap!, una cosa che mi faceva imbestialire (e penso anche gli altri colleghi di software house italiane), è che ogni tanto pubblicavano foto di programmatori sorridenti che si erano acquistati la macchina sportiva dei loro sogni con i proventi delle proprie creazioni.

Questo fenomeno generava problemi in Italia, dove tutti eravamo e siamo tutt’ora sensibili al fascino delle belle auto, poiché si coglieva l’immagine di un mercato estero molto più fruttuoso, con programmatori strapagati... ciò tendenzialmente generava una maggior pretesa da parte dei nostri coders. Mi sarebbe piaciuto che a quei tempi, oltre alla pubblicazione delle recensioni e dei giochi, qualcuno della redazione avesse fatto un giro presso le software house (e non le solite 2 o 3) e avesse pubblicato un po’ di realtà. Ovvio, so benissimo che non si poteva fare e comunque quella era la “normalità”. La produzione estera era esagerata e di contro erano pochi i titoli che realmente vendevano e “sfondavano” dando notorietà... e qualche serio ritorno economico.