Compilare una biografia di Franco Fabbri in poche parole è impossibile. Rimandando al sito personale per un elenco completo delle sue attività, in questa sede ci limiteremo a dire: cantante, chitarrista e compositore dello storico gruppo italiano Stormy Six, musicologo, professore presso l’Università di Torino. Nell’intervista qui presentata ci proponiamo di ripercorrere alcune tappe della sua carriera, che hanno portato alla scrittura di due libri per C=64 relativi alla didattica musicale, oltre a fornire una breve analisi sul rapporto tra musica e home computer. Buona lettura.
Per iniziare, oltre a ringraziarla della disponibilità, ritengo sia utile far comprendere come un musicista e musicologo sia arrivato dagli strumenti classici all'uso dell'elettronica, immagino con sintetizzatori analogici: poi, da questo, la scelta di utilizzare gli home computer e come tutto ciò abbia portato alla realizzazione del suo volume Elettronica e musica (1984).
I percorsi ai quali lei accenna sono abbastanza stratificati. Primo, fin dal 1968 avevo avuto a che fare con gli elaboratori, all'interno del corso di chimica all'università di Milano. Avevo imparato un po' di Fortran, e accedevo ai sistemi centrali della facoltà di Scienze.
Appena era uscito l'HP-35 me ne ero procurato uno, perché per calcolare i minimi quadrati era più semplice e rapido dell'UNIVAC con le sue centinaia di schede perforate. Poi ho preso anche un HP-25, che ho usato molto a lungo: anche, tra l'altro, per fare dei calcoli che furono poi molto utili per la fondazione della cooperativa l'Orchestra (1974-5).
Con gli Stormy Six, verso il 1976-77, avevamo iniziato a fare un moderato uso di sintetizzatori (il classico Minimoog), ma solo in studio di registrazione. Intorno al 1981, però, mi sarei comprato un Roland GR-500 (chitarra synth), utilizzato molto dal vivo nell'ultimo anno di attività degli Stormy Six, e alla base dei miei due dischi da solo.
Ero entrato al Conservatorio (credo) nel 1979, seguendo un corso sperimentale di composizione e quello di musica elettronica; per ragioni familiari (mia madre lavorava lì) visitavo spesso lo Studio di Fonologia della Rai.
Tutto questo converge nel 1982-3, quando un amico che lavorava alla GBC mi mostrò un home computer DAI, che aveva un chip sonoro della General Instrument, non molto dissimile dal SID. Riuscii a ottenerne uno e scrissi vari programmi, uno dei quali generava da sequenze semicasuali una composizione audio-video, Home Flight, una cui versione si trova nel mio primo album da solo, Domestic Flights.
Poco dopo comprai un Apple II+, che divenne il mio strumento di scrittura per tutti quegli anni, e poi il C=64. Elettronica e musica mi venne commissionato da una redazione dei Fratelli Fabbri (nessuna parentela), inizialmente come supplemento a un corso a dispense di tastiere. Decisero presto di farne un libro indipendente: per quel lavoro approfondii aspetti tecnici e storici della musica elettronica e dell'elettronica in musica.
Veniamo dunque ai libri didattici relativi al Commodore, Musica elettronica con il Commodore 64 (1984) e Compositore (1986). Mi interessa poi capire se da parte sua, in questo percorso, vi era un’attenzione partita principalmente osservando le avanguardie musicali del tempo oppure questioni più "pop", quali per esempio i Kraftwerk.
La Ricordi mi aveva preso come consulente per questioni tecnico-musicali, a causa dei vari interessi di studio di cui ho parlato: scrivevo da qualche anno su quegli argomenti, e la prima ragione per cui mi chiesero di lavorare per loro è che avevo presentato uno studio sull'evoluzione della musica in formato digitale a un convegno, e a quel tempo erano molto preoccupati (come tutti i discografici italiani) dal CD, dal costo delle fabbriche, dalle implicazioni monopolistiche di quella tecnologia (a quell'epoca) eccetera.
Ma poco dopo mi chiesero di occuparmi di personal e home computer: una società collegata (le Arti Grafiche) aveva avuto un boom vendendo il C=64 nelle cartolibrerie, e la stessa Ricordi era stata convinta a distribuire in Italia il BBC della Acorn.
Da lì parte una mia storia nell'informatica che mi avrebbe poi portato in Delphi (gruppo Olivetti) a occuparmi di workstation Unix e terminali X, e a fondare una mia società, la logiX, che è andata avanti fino ai primi anni Duemila (è stata una delle più forti sostenitrici di X11 in Italia).
Il lavoro didattico sul C=64 nasce, se non ricordo male, in questa sequenza:
1. All'inizio, avevo proposto una rubrica a Fare musica, una rivista alla quale collaboravo;
2. Le Arti Grafiche Ricordi mi chiesero di scrivere il mio primo libro, Musica elettronica con il C=64.
3. Un amico che aveva una scuola di musica a Reggio Emilia, il CEPAM, mi chiese di tenere lì un corso di "musica elettronica" basato sul C=64;
4. Nel frattempo, ero diventato più competente, mi ero studiato il sistema operativo del C=64, e soprattutto avevo iniziato a usare con divertimento il C=64 e i miei programmini all'interno di mie produzioni semi-sperimentali.
Il secondo libro fu il risultato di questo lavoro. Se non ricordo male, il primo libro vendette venticinquemila copie, il secondo seimila.
I Kraftwerk non c'entrano moltissimo, la musica elettronica delle avanguardie un po' di più, ma direi che quello che mi aveva spinto maggiormente a lavorare col C=64 era il fare, la programmazione e lo studio. Dopo un po', altri studi musicali mi hanno occupato tutto il tempo disponibile (e anche una figlia, nata nel 1986...).
Sarebbero interessanti due parole in più sul corso organizzato a Reggio Emilia, dato che abbiamo pochissime notizie su questo genere di attività tenute durante gli anni '80 e che dimostravano comunque quanto la musica elettronica e il C=64 fossero entrati nel "sentire comune".
A Reggio Emilia c'era il CEPAM, una scuola di musica (sostenuta dal Comune) erede del movimento delle scuole popolari di musica degli anni settanta. Avevo collaborato col direttore, Giuseppe Codeluppi, per una ricerca sui consumi musicali, e frequentavo Reggio Emilia perché lì, tra l'altro, si erano svolte le manifestazioni di Musica/Realtà e si era tenuta la seconda conferenza internazionale della Iaspm (International Association for the Study of Popular Music).
Se non ricordo male, Codeluppi vide che avevo pubblicato il mio primo libro sul C=64 e la musica, e mi chiese di fare un corso presso la sua scuola. Fra gli allievi c'era Emanuele Iannuccelli, un giovane e bravo musicista che divenne un ottimo programmatore e in seguito realizzò assieme a Codeluppi (quest'ultimo in veste di editore, se non sbaglio) dei programmi didattici per il C=64.[1]
Sarebbe altrettanto utile un suo commento sull'uso del C=64 (e altri home computer) in campo musicale, in riferimento alla sua esperienza sia come musicista, apprezzandone i pregi e i limiti hardware, sia come musicologo: ritiene cioè che l'entrata sul mercato degli home computer a basso costo abbia in qualche modo modificato il rapporto "sociale" tra uomo e musica, come produttore/esecutore e come consumatore?
Sì, per un periodo abbastanza breve (ma intenso) il C=64 fu un enorme stimolo a scoprire nuove risorse: apprezzavo soprattutto la capacità di realizzare sequenze e altro materiale con caratteristiche "disumane", cioè che un esecutore in carne e ossa non avrebbe potuto suonare. Questo ovviava a una certa limitazione timbrica.
Realizzai anche un sequencer che attraverso la porta dati forniva un segnale di gate alle batterie elettroniche dell'epoca (usavo una DR-Rhythm della Roland). E mi serviva molto la possibilità di intonare scale non temperate: molti miei pezzi di allora usavano la scala naturale (di Zarlino), magari contrapponendola a materiale basato sul temperamento equabile (uno di questi è Tempo rubato, sul mio album Luci).
Man mano, però, gli sviluppatori realizzarono software che condannava gli home computer e i pc dell'epoca a replicare strumenti, forme e scale standard: in questo senso l'adozione della MIDI fu una iattura. Quindi concordo che l'entrata sul mercato degli home computer abbia modificato il rapporto con la musica, ma molte delle possibilità sono rimaste non sfruttate.
Si potrebbe dire che il Midi è stato una iattura poiché ha standardizzato l'output sonoro, rendendolo una mera controparte degli strumenti standard?
Lo standard MIDI è costruito per pilotare dei moduli di sintesi da delle tastiere, e presuppone una normale tastiera da pianoforte (o da organo) e la divisione dell'ottava in dodici semitoni. Senz'altro si può forzare lo standard ma, per così dire, andando contro la sua "natura".
Oltre all'impossibilità di un esecutore umano di replicare certe partiture, è possibile affermare che i chip sonori presenti nei primi home computer fossero dei sintetizzatori sonori automi, con timbri originali e rese uditive completamente diverse dagli strumenti classici e degli stessi sintetizzatori "classici", arrivando a creare uno stile riconoscibile?
Be', in un certo senso sì, perché oltre un certo limite la velocità di esecuzione si traduce in timbri nuovi. All'epoca avrei voluto fare qualche esperimento programmando il SID ad altissima velocità, cambiando la frequenza del suono emesso, alternativamente, a pochi cicli di clock di distanza: secondo me verrebbero fuori cose molto interessanti. il SID è uno strumento ma, appunto, ciò che lo rende particolare è la possibilità di "suonarlo" in modo anticonvenzionale. Se no è un Minimoog, o giù di lì.
Quali sue incisioni contengono al proprio interno contributi suonati col SID del C=64?
Quasi tutti i pezzi del CD Domestic Flights, che incorpora l'album dallo stesso titolo e il mio lavoro La casa parlante, con l'eccezione di Domestic Flights (suonato da me con un time lag accumulator), Home Flight #2 (il suono è quello di un DAI 48k) e alcuni pezzi de La casa parlante. Direi che il suono del SID sia riconoscibilissimo.
Mi chiedevo se avesse mai avuto esperienze musicali con gli home computer a 16 bit, in particolare con il Commodore Amiga.
L’Amiga mi manca: ho provato il CX5 Yamaha, l'Apple II (con schede Mountain), l'Atari 520 (quasi per nulla), il BBC Master (con la periferica Music 500, che non era affatto male) e l'Archimedes della Acorn. Con nessuno di questi, però, ho mai approfondito la programmazione al livello che avevo raggiunto col C=64.
Concludiamo, ringraziandola, con una panoramica sulle produzioni videoludiche: parliamo dei suoi contributi musicali ai giochi della Softgraf di Cino Maffezzoli.
La Softgraf era, per quanto mi ricordo, la ditta individuale di uno sviluppatore di videogiochi. Se non sbaglio, Maffezzoli si occupava da prima di pubblicità: lo avevo conosciuto attraverso la mia moglie di allora, che lavorava come grafica pubblicitaria ed editoriale, e credo di aver fatto per lui qualche lavoro di audio prima di collaborare ai giochi, ma magari è stato l'inverso, chissà.
Alcuni dei pezzi che realizzai per la Softgraf erano "arrangiamenti" di materiale che avevo composto con altri mezzi; ad esempio, la musica di John Brenner corrisponde a Radio Star, un pezzo (vagamente reminiscente del mio Piazza degli Affari per gli Stormy Six) che fu usato per un certo periodo come sigla radiofonica dalla Rai. Altri pezzi, che non ricordavo e che ho ritrovato ora, esistono invece solo nella versione per C=64.
Note:
[1] A questo proposito, Codeluppi conferma: "Insieme a Emanuele Iannuccelli sviluppammo alcuni programmi: Musico, edito da Commodore Italiana nel 1984, primo software in Europa per apprendere la musica tramite PC. 7 note bit. Imparare la musica con il C64 (1985), 15 fascicoli in vendita in edicola ogni 15 giorni. Ne furono vendute più di 120 mila copie. Musica con Amiga (1987, credo), un fascicolo in edicola per Amiga, naturalmente. Emanuele, inoltre, seguì il corso con Franco al Cepam e, dall'anno successivo tenne lui stesso i corsi di computer music."
Musico