Tratto da Commodore Computer Club 48 - 1987, dicembre
E' ancora possibile, oggi, far finta di niente nei confronti della pirateria?
del Corsaro Nero
Da che mondo è mondo molti individui approfittano dell'ingenuità della gente per salvaguardare il proprio egoismo. A contrastare l'opera di queste persone provvede la cosiddetta morale comune (che dovrebbe autoregolamentare le velleità illecite), le leggi (quando e se funzionano) e la difesa personale, intendendo, con tale termine, il ricorso a deterrenti di varia natura.
Nel campo dell'informatica, come è noto, le risorse umane impiegate per lo sviluppo di nuovo software e hardware sono piuttosto costose e richiedono tempo ed investimenti di notevole entità.
Una volta commercializzato un prodotto, tuttavia, è facilissimo riprodurlo a costi praticamente irrisori disponendo di attrezzature modeste e alla portata di tutti. La morale corrente, in questi casi, non rappresenta un grosso ostacolo: la legislazione, al contrario, sembrerebbe offrire (almeno all'estero) quelle garanzie di tutela che giustamente si richiedono in una società civile.
Non rimane, per salvaguardare i propri interessi, che ricorrere a tecniche particolari, miranti alla non riproducibilità del prodotto.
Hardware
Per ciò che riguarda le apparecchiature l'unico modo di impedirne una riproduzione indesiderata è quello di costruire i chip e brevettarne le caratteristiche, ma rinunciare alla loro commercializzazione.
Purtroppo l'investimento necessario per lo studio di un chip risulta tanto consistente da costringere il fabbricante non solo a utilizzarlo nei propri computer, ma anche a venderlo a terzi e, magari, a consentirne la fabbricazione in serie su licenza. In questo caso, naturalmente, è difficilissimo risalire al produttore di un clone e, ammesso che si riesca nell'impresa, è ancora più difficile bloccare la duplicazione intrapresa illegalmente.
Per scelte strategiche, poi, non è facile decidere di rinunciare alla vendita dei chip: impedendone la diffusione su larghissima scala, infatti, si blocca anche la diffusione degli apparecchi legati all'architettura di quel particolare chip: se non si perde sul fronte dei clone, insomma, si perde sul campo delle vendite.
Se, al contrario, si rinuncia alla cessione del chip, è inevitabile concludere che gli eventuali computer che utilizzassero quel particolare chip sarebbero tutti di provenienza illegale. In questi casi, pertanto, la procedura legale sarebbe enormemente facilitata nell'individuare le responsabilità della fabbrica "duplicatrice".
Questo problema lo conoscono benissimo i produttori dell'Apple che, almeno nei primi modelli, utilizzavano circuiti integrati disponibili presso qualunque rivendita al dettaglio: microprocessore, Ram, Rom, porte logiche, I/O ed altre minuterie.
Il tentativo di super-brevettare un solo chip (il famoso "Bios" dei PC IBM) vitale per il corretto funzionamento del computer, non ha portato a risultati incoraggianti. Non solo, infatti, si è riusciti a riprodurne le funzioni senza "invadere" il brevetto IBM ma, in tanti casi, si è giunti a modifiche tali che i Bios alternativi risultano di gran lunga migliori di quelli originali.
Software
Nel caso del software il problema è più complesso a causa della impossibilità di impedire la commercializzazione dei supporti magnetici.
Si potrebbe tentare di costruire computer basati su supporti molto particolari, coperti da brevetto e di produzione esclusiva. Ma quante persone, oggi, sarebbero disposte ad acquistare un computer la cui diffusione, inevitabilmente, sarebbe destinata a restare circoscritta? Per non parlare del consistente investimento finanziario indispensabile per convincere il target cui il sistema è destinato.
In America il problema del software l'hanno risolto in modo semplice ma efficace.
Non appena un nuovo prodotto è disponibile, decine di migliaia di copie vengono immediatamente distribuite, nello stesso giorno, a centinaia di rivenditori al dettaglio. Contemporaneamente una martellante campagna pubblicitaria invita il potenziale utente all'acquisto.
Negli Stati Uniti il fenomeno del consumismo è tale per cui il consumatore (ma sarebbe meglio dire il consumista) non riesce a resistere alla tentazione di possedere subito un certo prodotto e, di conseguenza, si precipita ad acquistarlo. Egli sa benissimo che, entro un arco di tempo brevissimo, lo stesso prodotto verrà sprotetto e messo in circolazione dai pirati a prezzo più contenuto (se non, addirittura, gratis); tuttavia il desiderio di possederne subito una copia è più forte di una paziente attesa.
I grossi affari, quindi, si realizzano nell'arco di una decina di giorni, durante i quali le vendite devono compensare la fatica degli autori, le competenze della efficace distribuzione e della martellante pubblicità. Non di rado si parla di centinaia di migliaia di dollari.
Un altro modo per proteggere il software, a parte gli accorgimenti tecnici, è quello seguito dalla casa produttrice del Geos. Questo package, ben noto ai nostri lettori, è stato infatti ceduto alla Commodore ad una particolare condizione: è possibile distribuirlo solo se allegato alla confezione di un C/64 o C/128. In questo modo nessuno, se non la Commodore, ha il diritto di diffonderlo, ed un controllo sui vari annunci pubblicitari che propongano il Geos sono facilmente individuabili e perseguibili.
In Italia, naturalmente(!), l'ostacolo è stato facilmente aggirato: molti acquirenti di un C/64, che non intendano acquistare anche un drive (sul quale può funzionare il Geos) restituiscono al negoziante il disco ed il manuale presente nella confezione pur di avere uno sconto ulteriore sul prezzo di acquisto, oppure in cambio di qualche gioco su cassetta.
Il negoziante, quindi, è perfettamente "a posto" da un punto di vista legale: quando, infatti, acquista un C/64 dal grossista, può farne ciò che vuole: se lo desidera può addirittura dissaldare i vari componenti e venderli sfusi come pezzi di ricambio. L'importante è che riesca a dimostrare la lecita provenienza del Geos che vende.
Il Re è nudo
In Italia le cose vanno piuttosto male da qualunque punto di vista. La legislazione, carente, e la sua velocità di esecuzione (paurosamente lenta) non solo manca di efficacia ma, paradossalmente, incoraggia la pirateria su vasta scala. Al pirata che vende i "suoi" prodotti in edicola, male che vada, viene ingiunto di ritirare dal commercio il software distribuito; poiché tale ingiunzione arriva, se tutto va bene, dopo circa sei mesi dall'inizio della causa (quando, cioè, il prodotto è stato già ritirato per sostituirlo con quello nuovo) si può ben immaginare come, al danno, si aggiunga la beffa.
Dunque in Italia si pirateggia "alla grande", aiutati dalla inefficacia della giustizia. Diteci voi, allora, a che può servire gridare allo scandalo leggendo annunci di chiara matrice "piratesca".
Ed ecco perché, da questo numero, abbiamo deciso di parlare di copiatori, duplicatori, sprotettori ed altri accessori soft ed hard validi ed efficaci per gli hobbysti. Sarebbe infatti ridicola una limitazione delle armi giocattolo tacendo ciò che realmente accade, quotidianamente, nel campo del contrabbando di armi vere.
Pirata. Parola di pentito
Sproteggere non è solo il gioco preferito dagli smanettoni più incalliti; per molti è anche un business (già denunciato da C.C.C. sin dal numero 34) da molti soldi/ma come è nata e si è sviluppata la pirateria in Italia?
A questo interrogativo risponde Maurizio Gigante, ex direttore della Niwa.
La pirateria, a suo parere, nasce spontaneamente, a livello hobbystico e con il solo scopo di "capire come funzionano le protezioni, e di vedere se e come è possibile oltrepassarle".
Lo sviluppo successivo nella distribuzione di software piratato, è stato causato essenzialmente da due fattori ed in particolare "la mancanza di distributori di software a livello nazionale e il prezzo troppo alto dei pochi programmi in circolazione". La pirateria quindi, secondo l'ottica di Maurizio Gigante nasce anche come "volontà di fornire software di buon livello a prezzi accettabili".
"Non dimentichiamo", continua Maurizio Gigante, "che se non fosse stato per la Niwa, adesso l'unico programma per trattamento testi (i cosiddetti Word Pro) in circolazione per Amiga sarebbe il Textcraft che funziona solo col Kickstart 1.1, e i possessori di Amiga 2000 e Amiga 500?". In questo senso "la Niwa sopperisce a carenze distributive dovute al fatto che, troppo spesso chi vende hardware non pensa che il software è un necessario e vitale complemento".
Un altro punto su cui Maurizio Gigante è molto fermo è che "la diffusione di software pirata ha permesso una drastica riduzione dei prezzi di hardware ed accessori, come ad esempio i dischetti, che dalle oltre 7.000 lire di partenza sono scesi a poco più di mille lire senza che ciò andasse a scapito della qualità".
Maurizio Gigante, peraltro tiene a smentire ciò che qualche tempo fa è stato scritto da una rivista minore dedicata ad utenti Commodore (Commodore Gazette, inclusa nel presente dossier - ndRoberto): "Ciò che è stato scritto deriva non da una scelta di coscienza da parte di quell'editore, (che per altro non fa nemmeno parte dell'Associazione Italiana per la tutela del software, ASSOFT) ma da una specie di desiderio di vendetta causato dal fatto che la Niwa ha scelto di non fare più inserzioni pubblicitarie sulla la testata in questione a causa della scarsa affidabilità della stessa, in merito ai contenuti e alla puntualità di uscita".
Maurizio Gigante continua dicendo che "molto spesso chi scaglia la prima pietra non è alieno dal copiare o comunque dall' ispirarsi un po' troppo anche quando l'oggetto della copiatura (o ispirazione) non è un software ma un prodotto cartaceo come una rivista, magari, d'oltre oceano".
"La Niwa", conclude Maurizio Gigante, "non ha mai copiato né diffuso software italiano e, comunque, non appena sarà operante in Italia una seria organizzazione per la distribuzione del software (come la Leader) cesserà anche il fenomeno delle copie pirata".
[BOX]
[C'era una volta un re presuntuoso. Un bel giorno due imbroglioni gli fecero credere di essere sarti in possesso di una stoffa magica che diventava invisibile agli occhi degli stupidi mentre restava visibile per le persone intelligenti. Naturalmente il re diede ad intendere di vedere la stoffa dei due imbroglioni ed, anzi, ordinò che gli fosse confezionato un vestito. Quando, indossato il "vestito", il re uscì per le strade in mutande, la gente, non volendo passare per stupida, esclamava "Che belle vesti indossa Sua Maestà! ". Ma un ingenuo bambino disse ad alta voce "Il re è nudo" e tutti, presa coscienza del proprio comportamento, si vergognarono profondamente.]